Petrol
Dal Fondo
La percentuale che, al gentle time di oggidì, salti fuori un disco capolavoro in Italia, è davvero ridottissima, seppur presa con le dovute misure. Tanta, troppa spazzatura che circola in radio, sulla rete, in heavy rotation sui canali musicali, pseudo-musica di plastica ad altissimo potere infestante. Se poi calcoliamo le probabilità di trovare in Italia, oggi, un disco perfetto completamente in italiano, possiamo anche cominciare a fare le valigie e trasferirci oltreoceano.
Eppure saltano fuori le eccezioni. Sempre più sporadiche, sempre meno frequenti. Ma resistono ancora.
Dal Fondo dei Petrol è lesempio magistrale di tutto ciò che un album italiano dovrebbe contenere: passione, perizia tecnica, gusto per la sperimentazione, fantasia compositiva, nessun pelo sulla lingua. Roba da preistoria, potrebbe dire qualcuno, quando ancora esistevano i vinili e MTV era lontana mille miglia. Forse: ma è innegabile affermare che questo lavoro, pur essendo completo in ogni sua parte, suona allo stesso tempo tremendamente attuale. È un disco scomodo, bruciante, uno di quelli che lasciano il segno: un compagno di viaggio, che si muove, sinuoso, fra le periferie delle grandi città e ne coglie lessenza, il simbolo, il profumo, larmonia. È un cd oscuro, limaccioso, ma non tetro, e nemmeno rassegnato: viene proprio dal fondo, come suggerisce lo stesso titolo, per vomitare pian piano la sua rabbia contro il sistema che tutto controlla e tutto devasta. Ma non è una rabbia inconsulta: è gelida, sì, ma ragionata, ben motivata, solida, rocciosa, come i muri di chitarre che si ergono, imperiosi, canzone dopo canzone.
Si sono sprecate tantissime parole sui Petrol, negli ultimi mesi. Alcuni li hanno etichettati come supergruppo, perché ogni loro membro proviene da altrettante, rispettive formazioni italiane con esperienza e seguito ben consolidati (Franz Goria, voce e chitarra elettrica, era già il leader dei bravissimi torinesi, mai troppo ricordati, Fluxus: Dan Solo, basso, già Marlene Kuntz; Alessandro Bavo, tastiere, ex Sushi; Valerio Alessio, batteria, con alle spalle una militanza nei COV; Nino Azzarà, seconda chitarra elettrica, tuttora nei Mambassa). Altri hanno etichettato in modo ben preciso la loro musica, paragonandoli ad un moderno Fabrizio De André che imbraccia una Gibson. Ma i cinque sono questo e molto di più: non per niente, abbiamo già detto che Dal Fondo, disco desordio dopo un omonimo EP introduttivo, è un vero e proprio capolavoro, senza se e senza ma.
Torino è il leit motiv che, per un motivo o per laltro, lega invisibilmente il disco. Provengono da Torino: i loro gruppi precedenti sono di Torino; Dal Fondo è prodotto da Casasonica, label emergente (guarda un po?) torinese, fondata da Max Casacci, già membro dei Subsonica (che sono di ?). Ma Torino, e precisamente il grigiore dei suoi hinterland, sono anche lambientazione ideale di queste dieci perle. Quarantasei minuti di musica dai timbri chiaroscurali con una netta prevalenza per questi ultimi che piovono, torrenziali, sui timpani dellascoltatore. Quarantasei minuti di sensibilità Bauhaus, radici punk rock, monoliti stoner rock, distorsioni sintetiche al limite del noise. Con il basso, ed i toni della chitarra più cupi, a dominare sul tutto.
Accade così che violentissimi testacoda punk, pesantemente stravolti da synth elettronici (Nel Buio, primo singolo estratto, il cui testo dovrebbe essere letto da tutti quelli che vogliono riflettere) si accompagnino a morbidissime ballate agrodolci, dallincedere armonioso e soffuso, lontanissime dallo stereotipo caramellato dellodierna ballad pop rock (Devo Andare Via Domani). O ancora, ritmiche martellanti e refrain orecchiabili alla Subsonica (Tradiscimi) si intrecciano con superbe immersioni oniriche in oceani psichedelici, che si irruvidiscono progressivamente fino a toccare sonorità quasi stoner (la straniante poesia di Cera, secondo singolo estratto).
Spesso e volentieri, le tastiere di Bavo assumono un ruolo principale, sconvolgendo lo scheletro stesso del pezzo preso in considerazione: quindi, i giri di basso che si susseguono nel torbido tunnel della toccante Ogni Silenzio vengono amplificati dal sintetizzatore per poi esplodere, ferruginosi e roboanti, nel fragore che introduce le sature distorsioni del ritornello (Quella pelle che, non sa rimpiangere / la dovrei perdere/ cambiare, lacerare, ritrovare laria). Ma anche la funerea Senza Alcuna Ragione, inquietante miasma critico, a metà fra doom e dark wave, assume cadenze ancora più spettacolari e teatrali grazie ai pruriginosi effetti creati dallex Sushi.
Analizzata limportanza di Solo e di Bavo, non rimane che concentrarci sulla figura di Franz Goria la batteria, infatti, non assume particolari ruoli di rilievo-. Il carisma del leader dei Petrol si percepisce, forte e diretto, in quasi tutti i testi di Dal Fondo, che di certo non usano giri di parole o doppi sensi per esprimere il loro messaggio, sempre molto deciso ed impegnato. Le parti vocali, in certi punti, risentono della lunga militanza nei Fluxus: sebbene melodiche ed armoniose, spesso sono graffiate da un certo qual fondo roco, che ricorda il cantato in screaming di Non Esistere o Pura Lana Vergine. Ma tutto ciò non svilisce affatto il nucleo dei Petrol, anzi: emerge un penetrante lato cantautorale, a sprazzi poetico, come avviene nella bellissima LUltima Notizia È La Stessa Di Sempre probabile nuovo singolo?- o ancora di più nella magistrale, appassionante Il Nostro Battito Del Cuore, il vero fulcro del disco, che mischia assieme denuncia (Dovremmo avere tutti un po disprezzo del potere / farci arrestare tutti / riempire le galere o ancora Hai bisogno di comprare / hai bisogno di vedere / hai necessità di vivere / e uccidi per potere / hai bisogno di un bisogno che ti faccia essere parte / di questa società dove tu sarai il più forte, sono solo alcuni dei versi più significativi), stonerrock, De Andrè, Fossati, hard rock e, su tutti, una latente tenebra che avvolge ogni cosa, aumentandone a dismisura il potere mediatico.
La conclusione del lavoro con la strumentale Due Lune, altro non fa che confermare quanto di buono avevamo ascoltato durante tutto il minutaggio: un rock vischioso, cupo, evocativo, onirico. Una rotazione psichedelica attorno ai due corpi celesti suggeriti dal titolo, un continuo dialogo fra chitarre, basso e tastiere, che intreccia ogni volta nuovi canovacci senza mai riuscire ad annoiare.
Il miglior lavoro italiano del 2007, evitando di allargarsi ulteriormente per andare ad abbracciare lultimo lustro. Da ascoltare e riascoltare ma, soprattutto, da elaborare e da capire. Cè da dire che De André sarebbe molto orgoglioso di loro.
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