Reflue
A Collective Dream
I Reflue sono una (relativamente) vecchia conoscenza del sottobosco indie italiano, con una storia ormai quasi decennale e che già con lesordio autoprodotto di Slo-Mo nel 2002 ebbero modo di mettersi in mostra, raccogliendo da più parti giudizi lusinghieri.
A distanza di quattro anni decidono di riprendere quel percorso e con A Collective Dream, loro secondo album, stabiliscono un nuovo itinerario di cui tutto si può dire, tranne che pecchi di provincialismo. Perché, anche se rischia di suonare iperbolico, nellalbum del sestetto di Parma si respira laria del Kentucky di David Grubbs, del New Jersey degli Yo la Tengo e del Massachusettes dei Karate. I Reflue, pur spaziando senza troppi complessi tra territori eterogenei, sembrano meglio acclimatarsi dalle parti di un rock blues che oscilla tra le inquietudini della psichedelia e i gesti spontanei del pop, in cui chitarre acustiche ed elettriche, assieme alla disciplinata sezione di tastiere, tessono una trama talora impreziosita da felici incursioni di strumenti a fiato.
Dal lotto di A Collective Dream emergono lincipit di Brilliant Beauty, chitarra acustica e piano a rievocare certe atmosfere old fashion, ed il raffinato jazzy-blues di (Shes) Singing the Blues, mentre Stay si concede più melodie più rotonde e qualche assolo di chitarra. Posta in chiusura dellalbum la mini-suite di Martinas Treasure è un collage di spunti free jazz, blues ed ambient alla David Sylvian e suggella con un tocco di rara classe un disco per cui viene spontaneo spendere elogi.
Non senza un pizzico di spavalderia i Reflue scorazzano sui prati intonsi di artisti ben più blasonati, senza aver voglia di chiudersi in nessun recinto ed attingendo spregiudicatamente laddove è giusto attingere. Il risultato è duttile e fresco a sufficienza da non sfigurare affatto al confronto di certe osannate produzioni doltremanica o doltreoceano. E tanto basta per far quasi gridare al miracolo nella bistrattata scena indie italiana, sempre un po a corto di fiato.
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