R Recensione

8/10

Virginiana Miller

Fuochi Fatui d'Artificio

di Nur

La musica dei Virginiana Miller ha il valore e la precisione della tecnica.

Una tecnica intesa nella più antica etimologia greca di "techne", come capacità, competenza e conoscenza esclusiva nel saper fare qualcosa, quella che poi i latini hanno chiamato "ars".

Non a caso decido di scomodare greci e latini; la musica dei Virginiana ha in sé qualcosa di classico, nell'eleganza del tragico e nella ricercatezza estetica.

I pezzi sono difatti costruiti sapientemente su unici ed originali movimenti melodici che si snodano su ritmi ora dilatati ora decisi, e su una più generale armonia compositiva che si percepisce solo dopo qualche ascolto.

Con un brivido sulla schiena ci si accorge infatti che si ha a che fare con qualcosa che vale davvero, quando si palesa in un secondo la perfetta complementarietà tra musica e parole, cosa che, a dispetto di quanto si potrebbe pensare, oggi accade raramente.

Lo dimostra il fatto che ascoltando non si ha la percezione che i testi siano stati costruiti sulla musica (o viceversa), ma al contrario sembra quasi che le note generino le parole come se ne fossero le figlie, nel modo più naturale possibile.

E' la musica che le suggerisce, e questo è uno dei motivi per cui le canzoni dei Virginiana Miller riescono ad entrare dentro e a sdraiarsi nelle stanze più segrete, e a non uscirne più.

Traspare poi la perizia letteraria nell'accurata stesura dei testi, che in Fuochi Fatui d'Artificio -quinto album per la storica band livornese-, si susseguono quasi come capitoli di un unico romanzo, capitoli che raccontano con amarezza velata e romantica melanconia, più che il fascino di ciò che poteva essere, la sottile poesia nel ricordo di ciò che fu.

Nel racconto si snocciolano e si spargono reminescenze spettrali, pezzi di storia e immagini di vita vissuta, come in "Formiche", in cui l'ancestrale e ingenuo stupore di una scoperta, di una prima volta tra il "Ciao che riposa sgonfio e i diosperi caduti marci sul pratino", alimenta una narrazione dolce e densa di particolari a cui si accompagnano colorazioni armoniche tenui e un ritmo incerto e quasi nervoso.

O ancora in "La sete delle anime", dove si incontrano curiosamente sulla sinistra strada del petrolio, Alessandro Magno (e il suo servo cantore Stefano) ed il presidente dell'ente nazionale per gli idrocarburi Enrico Mattei, che danno vita ad una vivida rappresentazione (di lontani echi danteschi) di anime con la gola bruciata.

Ricorre poi come anche nei precedenti dischi il tema della vacanza, che da "Gelaterie Sconsacrate" del primo album a "Re Cocomero" e "Onda" dell'ultimo, sembra tracciare chiaramente le coordinate –dal litorale tirrenico all'Oceano Indiano- di estati finite e spiagge vuote –vacanti- appunto, che private del caos turistico da tsunami o semplicemente dall'incalzare dell'autunno, fanno da sfondo a narrazioni quasi crepuscolari.

Fuochi Fatui D'Artificio è impreziosito poi da novità strumentali per il gruppo, come sax e violini a cui si aggiungono nuove e spiccate influenze elettroniche e strambe registrazioni di rumori e campionamenti di sottofondo (chiatte, orologi, fiches, echi d'oltralpe..) che contribuiscono a creare una piacevolissima atmosfera di "racconto in musica" al disco.

Una menzione a parte meritano poi le esibizioni live del gruppo livornese, concerti con una fortissima carica espressiva ed interpretativa, che non lasciano indifferente neanche l'ascoltatore più scettico e che agiscono invece da solido collante con un pubblico variegato ed affezionatissimo.

Assistendo ad un loro concerto, durante l'esibizione dei primi pezzi può capitare di sorprendere Simone Lenzi (cantante del gruppo), a chiudere gli occhi e a guardarsi i piedi, come se avesse paura. Come quando si è sull'orlo di un precipizio e si fatica a trovare il coraggio di buttarsi.

Poi apre gli occhi, e si butta.

E canta come se fosse l'ultima volta, con sentimento, canta così bene che a tratti sembra stia pregando, mentre gli altri dietro di lui suonano accigliati.

Nella loro espressione si riconosce quella concentrazione che azzera la mente e la fa fluttuare nel nulla, quasi in un automatismo o in una trance.

Insomma, si vede che gli piace suonare. Gli piace proprio tanto.

E questo è il requisito fondamentale per chi fa musica.

Una musica di qualità per orecchie sopraffine, una musica che –come tutte le altre- non si lascia ascoltare dalle orecchie sbagliate, e che come qualcuno ha già giustamente detto, andrebbe conservata nelle biblioteche.

V Voti

Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

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sosetta (ha votato 9 questo disco) alle 1:26 del 29 marzo 2010 ha scritto:

grazie

grazie per questo disco