R Recensione

7/10

Aqueduct

Or Give Me Death

In un celebre film che andava per la maggiore negli ormai lontani anni ’90, quel Reality Bites tradotto da qualche genio in occasione della traduzione italiana in “Giovani, Carini e Disoccupati”, si metteva alla prova un’aspirante giornalista chiedendole di definire la parola “ironia”, con conseguente disperazione della diretta interessata.

Immaginatevi la sua reazione se qualcuno le avesse chiesto di definire il termine lo-fi. Che ovviamente il lo-fi non è una semplice questione di bassa fedeltà: è un’attitudine, un’entità impalpabile, un insieme di valori che trascendono e spesso violano i confini musicali, è una scuola di pensiero che ti costringe ad additare, empiricamente e un po’ pedantemente, i gruppi che meglio lo rappresentano.

I grandi padri del lo-fi (assieme ai Pavement), i leggendari Guided By Voices, ne sono la migliore esemplificazione: melodie immediate, affastellate una sull’altra, pezzi brevi, a tratti ottusi, ma di una ottusità meravigliosa, suoni sporchi, certo, ma che fanno di necessità virtù, rendendo arte la natura angusta di un 4 piste. Un modello così affascinante da tenere anche nell’era del suono digitale e di Sound Forge, un’attitudine che è divenuta simbolo stesso di certi indie pop.

Se si deve guardare al passato prossimo vengono alla mente meravigliosi outsider, ognuno dotato di una sua, meravigliosa cifra stilistica, come gli Unicorns, i B.C. Camplight, Half Handed Cloud o, per l’appunto, della one man band di David Terry che va sotto il nome di Aqueduct . Giunta con questo Or Give Me Death al terzo disco, cui tocca il gravoso compito di dare un seguito all’ottimo I Sold Gold, gioiello indie pop da riscoprire, costruito su elettronica cheap e ritornelli istantanei, vago sapore anni’80 e colpi di scena imprevedibili e spiazzanti, un bel nome da suggerire alla giornalista alla tartagliante ricerca di dischi in grado di spiegare il non-genere.

Or Give Me Death ripropone, per molti versi, i medesimi ingredienti del suo predecessore: forme sonore volutamente povere, melodie semplici, un bel modo di rifarsi al college rock più naif ed al guitar rock dei Guided By Voices, sostituendo alle chitarre i synth e mettendoli sulla piazza senza, per una volta, che si debba far ricorso alla parola new wave, e concedendosi qua e là qualche grazioso tocco di barocchismo e qualche sforbiciata sonora piacevolmente kitsch. La grande dote di Terry è quello di mediare brillantemente un certo tiro epico con l’amore per il bizzarro, conferendo ai suoi synth scalcinati ed alle sue stonature più o meno intenzionali molto più pathos di tante presunte next big thing da copertina.

Gli assi li ha tutti in tasca e aspettano solo di essere lanciati con sapienza uno dopo l’altro: Living a Lie, Broken Records, Just The Way I Are, Split The Difference o una As You Wish a metà strada tra Be My Baby delle Ronettes e Oliver’s Army di Costello.

A dirla tutta, qua e là affiorano momenti di fiacca, l’ispirazione vacilla un po’ e qualcuna di queste strane ciambelle la si ritrova sprovvista di buco, a far scivolare il Or Give Me Death un gradino sotto il precedente, ma senza nulla togliere ad una ricchezza di idee, di sorprese, di svolte melodiche, che non possono che costituire un piacevole diversivo dal logorio dell’omologazione musicale di questi giorni.

V Voti

Voto degli utenti: 6,8/10 in media su 9 voti.
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londra 8/10
rubens 8/10
REBBY 6/10

C Commenti

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Punchdrunk alle 11:36 del 22 febbraio 2007 ha scritto:

bellissima recensione, complimenti!

Nadine Otto (ha votato 7 questo disco) alle 22:51 del 26 febbraio 2007 ha scritto:

un band che ti tira su. carino!

gerogerigegege alle 21:47 del 28 febbraio 2007 ha scritto:

gran recensione e gran gruppo!

fabfabfab (ha votato 7 questo disco) alle 18:02 del 9 giugno 2008 ha scritto:

guns n' roses

Bello il disco e la recensione. Recuperate anche un bel pezzo del loro disco precedente ("I Sold Gold" - 2005): "Growing up with GNR", dal quale cito solo una frase:

"I was only twelve, dammit all to hell, I was feeling fine hearing Axl Rose, on the radio singing sweet child of mine welcome to the jungle you're much too much to handle

I wish I weren't in love with you hearing Axl Rose on the radio remembering the good times with you".