R Recensione

4/10

B.c. Camplight

Blink Of A Nihilist

Non c’è peggior giudice di un fan, nella valutazione di un disco, nel bene e nel male. Se, quando le cose vanno bene, il supporter tende ad eccedere in entusiasmo e sperticarsi in lodi francamente eccessive, quando il meccanismo si inceppa e il quadretto idilliaco si incrina, il fan diviene spietato e assetato di sangue.

Chi vi scrive, fortunatamente, si trova in uno stadio intermedio: se difficilmente potrete trovare in casa del sottoscritto poster del signor Brian Christinzio, alias B.c. Camplight (ammesso che ne esistano), non vi ci vorrà molto per scovare da qualche parte, in bella mostra, una copia di Hide, Run Away (2005): dischetto minore, costellato di singoletti da olimpo dell’indie pop, dotati di un’immediatezza e di una semplicità zuccherina e lo-fi che non avrebbero stonato, per capirci, nei dischi del signor Ben Folds o sugli album dei Grandaddy.

Due esempi non casuali, peraltro, perché la cifra stilistica di Mr.Christinzio (e non osate mai più lamentarvi per il vostro cognome !), sta proprio a metà tra le produzioni levigate dei Ben Folds Five e quelle sgargiantemente lo-fi dei nonnetti, tra i sofisticati ghirigori Wilsoniani e il songwriting di classe di Badly Drawn Boy. Così era nel già citato Hide, Run Away, così è in questo Blink Of A Nihilist.

A cambiare, purtroppo, è il modo in cui tali influenze sono rielaborate: laddove nel disco precedente il valore dei riferimenti diveniva ozioso esercizio gnoseologico per recensori annoiati e secchioni del pop, e a spiccare su tutto era il valore delle canzoni di per sé, questa volta pare che il bagagliaio di influenze, caricato all’inverosimile sia esploso, a spese della sintesi e dei pezzi.

L’effetto infatti è quello di un collage insicuro e legnoso, un gioco forzato di rimandi e citazioni, un cut up organico che si rivela, alla fine dei conti, senza capo né coda. Così Soy tonto !, con la sua partenza bossa, il coretto alla Ronettes e lo stacchetto alla Badly-Drawn-Boyano accumula con bulimia suggestioni e rimandi, ma la canzone, fondamentalmente non c’è. Gray Young Amelia è l’ennesimo esercizio di rilettura di Pet Sounds. Il walzer dell’uomo lupo(Werewolf Waltz) in salsa lounge lascia il tempo che trova e lo stesso si può dire della divertente (?) cronaca doo wop di un raffreddore in fieri (I’ve Got a Bad Cold). Officer Down, con la sue solenni aperture Bucharachiane, può risultare piacevole, ma poco più. E si sono volutamente trascurati gli episodi più imbarazzanti del disco.

Il consiglio migliore che si può dare a(i) B.c. Camplight è quello di lasciare i collage a Beck, Cornelius e compagnia, e tornare a fare canzoni. Molto semplicemente. Anche i fan più accaniti, quelli che in questo momento stanno affilando i coltelli e caricando i fucili, gliene saranno grati. E non poco.

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