V Video

R Recensione

10/10

Beck

Mellow Gold

Beck – Mellow Gold (1994)

Clerks di Kevin Smith (1994)

 

Il 1994 è l’ anno del fallimento e dell’apatia sociale alla ribalta nel mondo mainstream. Kevin Smith erge un piccolo monumento in onore dei “Losers” scolpendo con martello e scalpello di plastica Clerks, racconto low-fi della giornata di lavoro di un commesso in un supermarket americano, sviluppandosi fra gag grottesche e situazioni insolite e scattando una polaroid sbiadita e in bianco e nero della generazione X degli anni ’90. Una generazione che ha perso lottando dietro il bancone di un supermercato o confezionando hamburger freddi e stantii in un fast food.

Nello stesso anno Beck Hansen, reduce da un fitto lavoro underground di EP e live, debutta sulla major Geffen con Mellow Gold, considerato vero e proprio esordio dello strambo cantautore americano.

 La figura di Beck è l’emblema del “Loser”, corpo asciutto ed esile, capelli biondi a metà lunghezza, ed uno sguardo da cui traspare la disillusione e l’apatia di una intera generazione. Al contrario però di quanto possa apparire, Beck è un vulcano di talento, inventiva e genialità. La sua miscela musicale mescola folk, blues, hip hop e ritmi latini in uno stile assolutamente personale e pazzoide. In una sola parola, Crossover.

Nel suo frullatore Beck getta la tradizione blues e folk americana, posizionando la velocità del mini-pimer sulle cadenze ritmiche dell’hip hop old school e del funk, aggiungendo a piccole dosi testi ironici, sarcastici, ma stramaledettamente (sur)reali. Mellow Gold è un grasso polpettone che ha tutti questi ingredienti mai miscelati e serviti in questa veste fino ad allora.

Apre le danze l’inno generazionale Loser, che col suo riff pigro di chitarra slide e intrecci di sitar staglia un ritornello killer che dovrebbe figurare come epitaffio su ogni lapide di qualunque ragazzo vissuto negli anni ’90. (“Yo soy un perdedor/I’m a loser baby, so why don’t you kill me?”)

Pay no mind è un folk sommesso impigrito dal sole battente d’agosto, mentre Fuckin’ with my head è un blues di strada ubriaco e sdentato. Whiskeyclone, hotel city 1997 è un lento lamento folk disilluso, è la presa di coscienza del proprio fallimento (“Everything we’ve done it’s wrong”) in cui Beck salmodiante si fa portavoce di ogni commesso frustrato e malpagato sulla faccia della terra (“e ti amo Mariooooo!!”).

L’hip hop sghembo di Soul Sucking Jerk mescola battiti mid-tempo con un riff di banjo scordato a dovere e voci storpiate da una cascata di effetti dissonanti, sfociando in un marasma che sfiora i lidi industrial; come se i Beastie Boys, Trent Reznor e Bob Dylan ubriaco improvvisassero una jam con gli strumenti fuori corda. Assolutamente geniale! (“I ain’t no work for a soul sucking jerk”).

Il folk drogato di Truckdrivin Neighbors Downstairs cede il passo al funk tribale di Sweet Sunshine, un mantra di voci psicotiche filtrate in low-fi che salgono in un crescendo di effetti elettronici che nemmeno il fonico di Beck riesce a capire da dove arrivino. Il funk urbano Beercan ipnotizza col suo giro killer di basso, è puro distillato di “Beck Sound” in cui generi disparati confluiscono in una jam impazzita.

Gli intarsi riverberati di sitar in Steal My Body Home mandano in trance le sinapsi mentre Hansen vomita una lenta litania distorta in una atmosfera pop ovattata e narcotica, ma visto che il nostro genio non si accontenta mai, nel finale ci infila pure improbabili percussioni di pentole e stoviglie rimediate per casa, un banjo rigorosamente scordato e un bel kazoo che non guasta mai.

Sulla carta tutti questi elementi suonerebbero insoliti, dissonanti, eppure suonano come se fossero nati per questo.

Nightmare Hippy Girl è una ballata folk di ottimissima fattura, mentre Mutherfucker è puro punk noise low-fi d’assalto indemoniato. Il finale di questo capolavoro è affidato al folk maestoso di Blackhole intessuto di eleganti arabeschi di chitarra e la solennità di una preghiera pagana, ed alla traccia fantasma, il lamento di un Commodore 64 impossessato e schiacciato in una pressa.

È questo il marchio di fabbrica di Beck, che col tempo affilerà le sue lame, ma che in questo esordio conserva tutta la sfacciataggine e la spontaneità che rendono Mellow Gold un piccolo grande capolavoro degli anni ’90.

Se questi sono i risultati, la Generazione X è uscita vinta dal campo di battaglia, ma a testa alta e con le ferite belle in vista da sfoggiare.

V Voti

Voto degli utenti: 8,9/10 in media su 19 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
babaz 10/10
rael 8/10
F-000 10/10
REBBY 9,5/10
tecla 7,5/10
ThirdEye 9,5/10
Senzanome 9,5/10

C Commenti

Ci sono 7 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

babaz (ha votato 10 questo disco) alle 9:25 del 10 dicembre 2009 ha scritto:

CAPOLAVORO!!

DonJunio (ha votato 9 questo disco) alle 15:00 del 10 dicembre 2009 ha scritto:

L'uomo giusto al momento giusto. Un cantautore sintonizzato sul mood della generazione Cobain e Reznor, indolente come J Mascis e in grado di saldare i più interessanti filoni musicali dei primi anni 90. Un classico.

bargeld (ha votato 9 questo disco) alle 15:13 del 10 dicembre 2009 ha scritto:

Trovo Beck il più geniale "compositore" dei '90s, e Mellow Gold uno dei suoi capolavori. Sicuramente tra le vette assolute di quel decennio, una ventata di sana creatività da un ragazzo prodigio poco più che ventenne.

Mr. Wave (ha votato 8 questo disco) alle 15:37 del 12 dicembre 2009 ha scritto:

''Soy un pierdedor, I'm a loser baby so why don't you kill me?''

rael (ha votato 8 questo disco) alle 11:06 del 16 dicembre 2009 ha scritto:

quanti ricordi, ammetto pero' che è molto tempo che non lo riascolto

ozzy(d) (ha votato 7 questo disco) alle 16:20 del 17 dicembre 2009 ha scritto:

Preferisco "o-delay", qui ci sono troppi riempitivi. Peccato non ci fosse il primo singolo "MTV makes me want to smoke crack", memorabile non meno di "loser", e tuttora attualissima lol.

galassiagon (ha votato 9 questo disco) alle 14:43 del 26 marzo 2011 ha scritto:

rev

l'ultimo grande album rivoluzionario nella storia del rock.