R Recensione

8/10

Los Campesinos!

Hold on Now Youngster

Due scuole di indie e due decenni a confronto.

Da una parte l'indie pop dei '90s, fratello putativo del pop punk e del chitarrismo noise dei Sonic Youth, cantati bislacchi e strascicati e chitarre acuminate conficcate come aghi anche nei ritornelli più caramellosi, le melodie schive e oblique dei Pavement, il power pop dalle chitarre scordate degli Urusei Yatsura e dei primi Delgados, le armonie vocali stiracchiate degli Hefner.

Dall'altro l'euforico indie pop del decennio successivo, le formazioni oceaniche e i ritornelli da Kindergarten, i rigurgiti twee e le melodie estatiche, I'm From Barcelona, Architecture in Helsinki, Broken Social Scene e Polyphonic Spree.

In mezzo: i Los Campesinos!. Solo alla sregolata verve pop gallese poteva riuscire l'impresa di mettere tutto assieme, trovando finalmente la quadratura del cerchio: senza rinunciare né sminuire nessuno dei due filoni ma anzi, proiettandoli in una nuova sintesi in cui l'unione risulta ben superiore alla sola somma algebrica delle parti.

Se avete già avuto la fortuna di ascoltare l'ep apripista Sticking Fingers into Sockets probabilmente non stenterete a crederci: per gli altri, giustamente scettici, parlino direttamente le canzoni.

Death to Los Campesinos, per esempio, decollo verticale sullo sposalizio tra chitarrismi alla Dinosaur Jr. e strascichii verbali pavementiani, o Broken Heartbeats Sound Like Breakbeats, punk pop da asilo nido, sospeso tra coretti celestiali e backing voices psicotiche, o ancora Don't Tell Me to do the Maths, twee esagitato screziato da lamine di bassa fedeltà.

Drop It Doe Eyes e My Year in Lists sono cartolina imbucate da qualche roccaforte indie emo e dirottata sulle coste scozzesi dei tardi '90s.

E c'è pure una Hefneriana Knee Deep At ATP a fare timidamente (ma prepotentemente) capolino alla casella n.6.

E ancora: You!Me!Dancing!, che incomincia con un mantra velvetiano e si scatena, come da titolo, in una solare ballata riempipista, cavalcando coretti beachboysiani, biascichi gallesi e scodinzolanti campanelli. E lo sposalizio tra tsunami sonici e anthem da stadio di ...And We Exhale And Roll Our Eyes In Unison.

Chiude in accelerazione la deliziosa Sweet Dreams Sweet Cheeks, piroettando tra scorie di bassa fedeltà, violini lamentosi, bassi kimdealiani e muretti di feedback.

Un disco che suona revivalista quanto “moderno” e che aggiorna ai pruriti del nuovo millennio un modo di fare indie che ci era davvero mancato in questi anni di sbadigli glitch. Solo adesso, risentendolo  trasudare attraverso le canzoni dei Campesinos,  ci accorgiamo quanto.

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Voto degli utenti: 6,6/10 in media su 13 voti.

C Commenti

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Alessandro Pascale (ha votato 8 questo disco) alle 10:12 del 20 febbraio 2008 ha scritto:

Convincente!

Bello bello, fresco, divertente, trasuda molte influenze indie è verissimo però lo fa con una grazia e una svogliatezza squisite. E il prodotto finale è davvero gradevole. Voto sarebbe un 7,5

REBBY (ha votato 5 questo disco) alle 7:22 del 3 marzo 2008 ha scritto:

A me sembra la colonna sonora di un musical (rock)

sul genere di quelli cinematografici/televisivi

(mi fecero la stessa impressione i Tubes tanti

anni fa). Death to los campesinos finira' in una

mista. Per il resto tanti saluti. 5/6

Marco_Biasio (ha votato 6 questo disco) alle 21:12 del 4 marzo 2008 ha scritto:

I più giovani stiano tranquilli!

Mi puzzano troppo da copie degli Architecture In Helsinki vecchio stampo. Le canzoni sono belle, vivaci, cazzone, ma troppo scontate. Una sufficienza piena comunque non gliela toglie nessuno.