Bloc Party
Four
A quatto anni da “Intimacy”. Disco numero quattro. Quattro di nuovo i Bloc Party dopo che Kele sembrava ‘uscito dal gruppo’. Quattro i cerchi (ancora!) in copertina. Il titolo dell’album non poteva che essere quattro. E il voto pure.
Perché “Four” è, con pochi dubbi, il peggior album dei Bloc Party. “A Weekend in the City” era la versione moscia del loro apice, “Silent Alarm” (quello sì un gran disco), ma era tenuto a galla da qualche pezzo uscito dalle pieghe del predecessore. “Intimacy” era una contaminazione coraggiosa con le armi dell’elettronica, tra qualche caduta e molti bei momenti. “Four” vuole essere un ritorno al rock. Un ritorno in pompa magna. Uno di quelli che si facciano notare. E inosservato, purtroppo, non passa.
Se nella sua versione indie-rock la forza della band erano le stilettate nervose di chitarra, qua dominano i chitarroni caciaroni. Si cerca l’epica pacchiana, da band di provincia ‘che a noi ci piacciono i Muse’ ("So He Begins To Lie", “3x3”), o da gruppetto per pub ‘che noi siamo cresciuti col metallo e con lo stoner’ (“Kettling”), mentre dove si cerca di ricalcare le orme dell’esordio si finisce in pezzi orecchiabili, ma nel complesso inoffensivi (“Octopus”, “Truth”, “Real Talk”, con estrazione dal cappello persino di un banjo). Kele annaspa, e non riesce a far decollare le ballate (“Day Four”, sciapissima). La sezione ritmica, lungi dai dinamismi epilettici dei bei tempi, stagna in figure reazionarie, tirandosi dietro assoli di chitarra wannabe-grungettoni che Lissack avrà imparato dalla sua recente militanza negli Ash. L'effetto finale è un disordinato album da band epigonica.
Alla fine non si salva quasi niente. E ciò che si salva sta proprio verso la fine, da “V.A.L.I.S.” a “The Healing” (ritmo piazzato, archi, bel dialogo di Kele con le chitarre effettate e liquide, quasi dreamy, ben lontane dalle ruvidezze gratuite del resto del disco). Di certo non si salva “Coliseum”, che però vale la pena (letterale) di essere ascoltata quanto meno per l’incipit che plagia “Loser” di Beck (poi il pezzo svacca in machismo rockenrolle con urli ad minchiam).
Contare fino a quattro e passare oltre.
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