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R Recensione

4,5/10

Blouse

Imperium

È piuttosto misterioso capire le ragioni del cambio di stile dei Blouse, che dal dream pop sfocato del debutto sono passati a suonare una specie di alt rock primi ’90, bello fisico e sudato: chitarre distorte e un po’ in acido, batteria simil-live, produzione molto grezza. Solo la voce di Charlie Hilton, rimanendo spesso indistinta e sullo sfondo, dove infila melodie acquose e in vago languore, è in continuità con “Blouse”, anche se qua l’effetto è, più che di un glo-fi addomesticato al pop, di uno shoegaze un po’ abborracciato.

È misterioso, tutto ciò, dico, per un semplice motivo: il disco è riuscito decisamente male. I pezzi si muovono, per lo più, in un pastone caotico e finanche un po’ fastidioso (“Eyesite”), nel quale strumenti e voce sembrano andare per i fatti propri; l’effetto, spesso, è che si stia ascoltando la versione demo di un disco mediocre (“In a Glass”), il che può spiegare la tentazione allo skip che spesso si prova anche durante pezzi piuttosto brevi. E che un disco Captured Tracks sembri, in sostanza, la prova di alcuni principianti di provincia (“Happy Days”) lascia un po’ perplessi.

Accanto alla produzione sgradevolmente toppata, l’altro problema è che le canzoni sembrano comunque poca cosa. Si salva, come quasi sempre, qualche momento: “1000 Years” incrocia con una bella melodia l’abrasività delle chitarre e la voce sognante della Hilton, mentre “In a Feeling Like This” ha un tiro scazzoso da Elastica che convince, e la title-track ha quanto meno energia. Ma si tratta, comunque, di dettagli in un disco, nel complesso, fallimentare.

L’impero, sì, ma alla fine della decadenza.

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