R Recensione

8/10

Built To Spill

There Is No Enemy

Nonostante i Built To Spill siano palesemente dei personaggi tranquillissimi che è difficile immaginarsi mentre si curano di questioni quali le vendite, le evoluzioni musicali, la critica e via andare, è innegabile che in questo nuovo millennio abbiano dovuto affrontare il confronto con quelle opere che ne hanno decretato il successo. Non da noi, ovvio, figurarsi, ma dopo due numeri come Perfect From Now On e Keep It Like A Secret, pur senza entrare in libri di storia che non portino la parola "indie" in copertina, i Built To Spill si sono ritrovati ad uno status di livello superiore, con un vero e proprio monumento sonico come il Live a sancire il fatto compiuto.

Da lì in poi, canzoni belle, suoni belli, parole ispirate, ma mai più quella completezza che fa gridare al miracolo. Che i Built To Spill siano a loro modo invecchiati è una certezza dipinta sulla barba di Doug Martsch, ma da qui a pensare che si siano fermati ce ne vuole: semplicemente ora abbiamo ben chiaro come suona una canzone "alla Built To Spill" e non è altro che qualcosa di inevitabile per chi ha fatto scuola. Eppure nonostante quella barba di cui sopra, la maturazione non è ancora giunta al termine. E' piuttosto entrata in una nuova fase, più malinconica, più introspettiva, che riflette nei testi un'evidente disillusione.

In questo senso è d'obbligo citare il finale di Life's A Dream, uno dei pezzi migliori non solo di questo nuovo There Is No Enemy ma di tutto il catalogo della band di Boise: "Finally decided / and by decide I mean accept / I don't need all those / other chances I won't get". La vita non è altro che un sogno, cantano questi degni figli di Neil Young, giusto prima di un soprendente (per loro) inserto di tromba che più indiepop non si può e che tornerà verso la fine del disco, in un'ancor più disillusa Things Fall Apart ("It doesn't matter if you're good or smart / goddamn it, things fall apart").

Nel mezzo, le famose bordate a tre chitarre (con l'altrettanto barbuto Brett Netson di nuovo ufficializzato) che tutti aspettano con ansia, che sanno di America (Good 'Ol Boredom) o di stupendi trip (nella conclusiva Tomorrow, degna dei tempi migliori) sempre e comunque conditi da ariose melodie da sogno (Done).

Per questo il disco, nell'inevitabile confronto con il passato, ne esce forse come il vero vincitore degli Anni Zero: come fosse una summa dei loro tratti migliori ma in un tono volutamente minore e sommesso, non per stanchezza o poco affiatamento, quanto piuttosto per arrivare alla piena comunicazione di una sensazione. Triste, sì. Fatalista, forse. Anche nella sferzata di Pat, unico momento di velocità in un clima di lenta arresa elettrica.

There Is No Enemy è quindi un disco che ha davvero qualcosa da dire. Come se non fosse abbastanza riuscire ancora a scrivere pezzi che ci sono, lì, rotondi e completi, a ribadire la bellezza di un gruppo che continua ad essere "indie" in modo che il termine non risulti l'insulto che sembra diventato al giorno d'oggi.

Ma è in quelle quattro righe striminzite di Oh Yeah che troviamo la conferma del valore aggiunto del disco: "And if god does exist / I am sure he will forgive / me for doubting for he'd see / how unlikely he himself seems", come se il vecchio Doug stesse davvero accusando il colpo e noi fossimo lì, con la mano sulla sua spalla, a macinare assoli e a chiederci cosa diavolo ci stiamo a fare qui.

V Voti

Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 4 voti.
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Teo 8/10
REBBY 7/10

C Commenti

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Alessandro Pascale (ha votato 8 questo disco) alle 10:03 del 5 gennaio 2010 ha scritto:

bello bello

ottimo disco davvero per uno dei gruppi più continui e fichi degli ultimi 20 anni. Non un disco brutto o mediocre! Ah complimenti al recensore

REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 10:05 del 22 gennaio 2010 ha scritto:

Done e Things fall apart sono da leccarsi i baffi (come i 2 cammei cantati da J. Lytle su Dark night of soul di Danger Mouse & Sparklehorse).

quinlan alle 0:54 del 4 novembre 2011 ha scritto:

Una cocente delusione se si pensa che tre anni prima il buon Martsch aveva licenziato un mezzo capolavoro come "You in reverse" ( questo sì il "vero vincitore degli anni zero" ). Un disco comunque godibile se si guarda a quasi tutto il resto dell'indie-rock contemporaneo...

Utente non più registrato alle 20:29 del 19 febbraio 2012 ha scritto:

Ottimo gruppo e ottimi lavori