R Recensione

6/10

Condo Fucks

Fuckbook

A quanto pare agli Yo la tengo piace scherzare. Perché tirare fuori dal nulla uno pseudonimo oltraggioso come Condo Fucks (Condo fa riferimento ai peculiari hotel statunitensi eleganti, moderni e di lusso) non sembra avere nessuna ragione specifica, soprattutto in questo momento, in coincidenza con l’uscita del loro nuovo album, Popular songs, se non quella di essere una semplice burla, così, tanto per creare un po’ di confusione fra i fan e far irritare qualche collezionista che, si sa, ama poter allineare le proprie discografie in ordine perfettamente logico e razionale sulla mensola porta-CD di casa.

Oltraggioso è anche il titolo del loro album di debutto(!?), Fuckbook che ovviamente richiama nel nome e nel contenuto (trattasi di una raccolta di cover) il disco del 1990 intitolato Fakebook. Ma chi vuole ci può anche leggere, senza troppi sforzi, una non troppo sottile e neppure velata ironia in riferimento a uno dei social network più utilizzati al mondo.

Comunque, al di là del nome, su cui pare inutile soffermarsi  più di quanto già fatto, più interessante è concentrarsi sull’analisi di un disco che recupera una manciata di classici che testimoniano l’amore degli YLT per certa musica anni sessanta e settanta e li reinterpreta nel linguaggio che Kaplan e soci conoscono meglio: quello del rumorismo velvettiano. Lungi dall’avere un qualsiasi tipo di pretesa artistica di spessore, Fuckbook comunque non annoia (ed è già qualcosa per un disco di cover) anche se a tratti sembra (soprav)vivere unicamente del talento e dell’esperienza più che ventennale di uno dei pilastri dell’indie rock americano.

Gli Yo la tengo (scoperto il trucco, possiamo anche chiamarli col loro vero nome) presentano rifacimenti di canzoni piuttosto eccentriche rispetto al loro stile: non ci sono Velvet Underground, Television, Sonic youth, bensì si abbonda di rock’n’roll/ garage in Dog meat (Flamin’ groovies),  with a girl like you (Troggs) e in What’cha gonna do about it (Small faces), restituite con una spasmodica carica dissonante; mentre il merseybeat di This is where I belong (Kinks) è, incredibilemente, una delle più simili al catalogo ufficiale degli YLT per la coabitazione di pop e rumore, tanto da sembrare uscita da Ride the tiger.

Fra le migliori ci sono comunque  Shut down dei Beach boys, una della più “rovinate” dal loro revisionismo indie, e The kid with the replaceable head che rende giustizia dello stile provocatorio di Richard Hell. Fuori dal coro, almeno stilisticamente, l’hard rock venato di glam degli Slade in Gudbuy T’Jane rivista comunque dai Nostri in chiave lo-fi. Apprezzabile diversivo.    

Pagina band sul sito della casa discografica: www.matadorrecords.com/condo_fucks

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