Cymbals Eat Guitars
LOSE
Puntualmente finisco per fare lopposto di quello che dico. Del tipo: Meglio le more ed eccomi con una bionda, No le pizze bianche le odio per poi scoprire immancabilmente di averne ordinata una e via dicendo. Se provate a chiedermi, in musica: Inghilterra o States?, la mia risposta sarà sempre favorevole alla perfida Albione. Eppure, eppure... ultimamente gli artisti a stelle e strisce si stanno appropriando di sempre più pezzetti del mio cuore. Il meglio offerto dal menù americano degli ultimi tempi (Local Natives, Smiths Westerns, Cloud Nothings, Girls, Real Estate Lasciamo stare gente tipo National che è semplicemente di un altro pianeta) va che è una meraviglia nelle mie cuffie.
Ed eccomi di nuovo pronto ad incensare un altro lavoro made in USA, dopo aver abboccato allesca tesa dal singolo Jackson. I Cymbals Eat Guitars sono una creazione di Joseph D'Agostino, giunta dopo vari cambi di formazione al terzo disco, dedita ad un indie rock dalla matrice più classica (Built To Spill, Pavement) ma contemporaneamente vicina ai nomi più disparati della scena attuale. Affinato il senso pop e messe da parte alcune lungaggini inconcludenti del precedente Lenses Alien, LOSE è un disco che se ha un difetto, è quello di contenere tanta roba al suo interno, pur non in maniera strabordante e che quindi può lasciare un po interdetti ai primi ascolti, soprattutto durante le prime tracce.
Dicevo del singolo apripista Jackson: ai primi secondi sembra di sentire la dolcezza art-folk dei Local Natives sublimarsi in sfoghi chitarristici, fino a che non interviene un cantato dalle ascendenze emo, adattatosi per loccasione ad una ballata. I riff di chitarra disegnano traiettorie malinconiche, pulitissime, prima di aprirsi nel finale, rincalzate dagli ottoni. Scuola canadese. Si passa subito (un po senza grazia) ad una cavalcata stile Japandroids come Warning ed al folk punk scalcinato di XR (armoniche scatenate e basso in fuga).
I Cymbals Eat Guitars piazzano a corrente alternata dei pezzi tirati più per le lunghe, costruzioni come Places Names le cui visioni lisergiche lasciano presto il posto ad un alt-rock di chiaro stampo novantiano. Laramie è un pastiche incredibile di generi: è una ballata retrò nella quale DAgostino sfoggia un falsetto soul, è gli Smiths Westerns sparati nello spazio, è i Manic Street Preachers era "Generation Terrorists", incredibilmente. A ben ascoltare la sezione ritmica resta spesso salda a stilemi wave (che prendono il sopravvento nel singolo Chambers, a metà fra revival e i Peace).
Child Bride è una ballata delicata, di scuola Pavement, dove però linserto del pianoforte (ancora una volta sentori di Local Natives) e certi accorgimenti in produzione evitano leffetto revival. Basso pulsante e voce sbilenca aprono il power-pop di Lifenet. Ancora, in chiusura, contaminazioni soul (come dice il titolo stesso 2 Hip Soul, memore di certo pop anni 70, ma, ancora meglio, delle atmosfere di un album come Father, Son, Holy Ghost dei Girls.
Non ce lho fatta ad evitare il track-by-track questa volta, ma la carne al fuoco è tanta, i nomi tirati in ballo anche. Però, per essere corretti bisognerebbe dire che quando si devono fare tanti riferimenti le cose sono due: o il disco è un minestrone o è un capolavoro. Qui siamo decisamente più verso il secondo. A ben vedere poi, buona parte dei nomi che ho fatto allinizio sono saltati di nuovo fuori durante la recensione; ovvio che questo disco mi sarebbe piaciuto, no?
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