Damien Rice
My Favourite Faded Fantasy
L'amore dà e toglie nell'arco velocissimo di un battito di ciglia, ti innalza a divinità e ti precipita nella melma dell'indifferenza con la stessa facilità con cui un bambino ti sorride o ti porge la mano; non fai in tempo a capire di aver sbagliato e di essere stato il peggiore dei bastardi perché è ormai troppo tardi.
Così dev'essersi sentito Damien Rice quando aveva capito che la sua Lisa non c'era più. La dolce, diafana, Lisa Hannigan, compagna di magie e fortune, nonché responsabile della fortuna di quel sorprendente esordio di 12 anni orsono che risponde al nome di "O", che aveva consegnato al mondo il talento cristallino del folk-singer irlandese.
Ma ridurre il tutto ad un mero gossip da copertina non rende giustizia al meraviglioso lavoro di Damien Rice, che, complice di auto-esilio forzato in Islanda, nonché dell'apporto del grandissimo Rick Rubin in cabina di regia, licenzia un disco sorprendente, in bilico tra asperità folk (la title track), dolci nenie in odore di Nick Drake ("The Greatest Bastard") o bozzetti impressionistici degni del miglior John Vanderslice ("I Don't Want to Change You"): "Ovunque tu sia, tu sai che ti adoro, non voglio farti cambiare idea, non voglio cambiarti", canta dolente Damien, mentre i violini piangono con lui la disperazione, la solitudine, la perdita, ma anche (un filo di) speranza. "Colour Me In" ci fa fare un balzo indietro, laddove il miracolo era avvenuto, in "O", con quell'arpeggio in levare, quel piano felpato, quell'armonium che taglia il cuore, infine il crescendo orchestrale, da brividi, che mozza il fiato e ci riconsegna la calligrafia maiuscola di Damien Rice che fa anche in tempo a creare un piccolo melodramma in Musica ("The Box"), nonché delicate incursioni nell'immaginifico mondo sonoro dei Sigur Rós ("Long Long Way") oppure lunghi addii di Elliot Smithiana memoria ("Trusty And True").
Dopo otto, lunghissimi, anni di assenza c'è una gran voglia di ripartire da zero, di ricominciare, di lasciare una traccia. Di questi tempi di regressione musicale e culturale c'è un disperato bisogno di artisti come Damien Rice, nemico giurato della sovraesposizione e del ritornello facile. Uno che parla, si esprime e comunica solo quando deve veramente e necessariamente farlo. Grazie, Damien, di cuore. Alla prossima...
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