Dan Mangan + Blacksmith
Club Meds
Fino allo scorso Oh Fortune (2011, Arts & Crafts) sembrava che Dan Mangan non volesse schiodarsi dalla sua maniera folk, più o meno riccamente arrangiata e impreziosita di grandeur chamber pop. Eppure con Club Meds l'artista canadese apre a territori sonori a lui nuovi, dando dignità al suo storico organico (qui rinominato Blacksmith) e allargando la sua proposta ad un indie-rock contaminatissimo, di matrice educatamente sperimentale. Siamo dalle parti dei Darcys e del loro art-rock levigato, con l'aggiunta di una componente elettronica che, pur sostituendo le gonfie partiture da camera, ne raccoglie la funzione ornamentale.
Offred è la perfetta apripista: le sue matrici ritmiche meccaniche impongono il passo, le cupe atmosfere a base di manipolazioni sintetiche e bassi pulsanti fanno da densa membrana ad una ballad grave, dove le chitarre si limitano alla puntellatura armonica, lasciando alle tastiere e alle parti ritmiche il compito di strutturare il pezzo. Il fitto lavorio collagistico di Vessel (innesti di piano in loop, frammenti ritmici, inserti di fiati impazziti, texturologia in sovraccumulo) è il primo vero esempio di quanto possa essere premiante la svolta dell'ensemble di Vancouver. Ci sono rimandi a certo Peter Gabriel, ci sono appigli alla pop moderno, c'è un originale tentativo di tradurre quanto fatto negli anni in un discorso nuovo senza tuttavia un ripudio netto delle esperienze passate, qui in qualche modo tradotte e convertite (si prendano le tentazioni corali, impossibili da eliminare, ma continuamente riassorbite dal caotico flusso strumentale).
Ci sono i National in un brano robusto come Mouthpiece, c'è una gradevole rilettura electro-folk -dal sapore radioheadiano- in A Doll's House / Pavlovia, mentre un brano come Kitsch sembra voler fornire un ibrido tra Grizzly Bear e Wild Beasts. E se XVI ci riporta un attimo alle vecchie sonorità, con la successiva War Spoils si torna sul sentiero originario. Forgetery incalza e sommerge in un fitto corredo di sgranature armoniche che salgono come un polverone, Club Meds si sviluppa a partire da un tema da fiera che si sviluppa in un attorcigliarsi mellifluo e cangiante, Pretty Good Joke innesca una sampledelia di molecole sonore dallo svolgimento minimalista, New Skies è un commiato di pop dolente che deflagra in strascichi di fiati e chitarre.
Il passo non è stato più lungo della gamba: il nuovo corso di Dan Mangan convince, mettendo in scena una grande varietà di soluzioni cui fa da collante un mood unitario, una predominante estetica turbata tanto nella resa sonora (il suono è quasi sempre disturbato, sfumato, tutt'altro che limpido) che nelle strutture (frammentate, disposte su più livelli spesso destinati a fondersi tra loro). Un buon sussulto artistico che fa fare a Dan Mangan e ai suoi Blacksmith un bel passo avanti. La speranza è che si proceda in questa direzione.
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