dEUS
Keep You Close
Ai tempi di "Worst Case Scenario" i belgi dEUS apparvero come il sogno bagnato di tanti. Rock ispido di matrice yankee (tra il sogno siamese di Corgan e i contrasti rumore-silenzio dei Sonic Youth) attenuato da felpate iniezioni jazz e lucida follia zappiana, con un certo humor europeo a vigilare come antidoto alle depressioni grunge tanto in voga all'epoca: impossibile restare indifferenti di fronte a questa miscela. Una carriera proseguita senza intoppi fino all'apoteosi di "The Ideal Crash", un successo strepitoso in madrepatria (personalmente non posso dimenticare il tripudio di folla in uno stellare concerto a Bruxelles nel 1999, uno dei ricordi più indelebili del mio lontano Erasmus nella terra di Eddy Merckx e della Jupiler) a suggellare un periodo creativo che aveva raggiunto l’apice su “In A Bar Under the Sea” del 1996. Poi un lungo periodo di animazione sospesa fino alla ripresa stabile dell'attività nel 2005, con Tom Barman sempre più calato nel ruolo di dEUS ex machina.
"Keep You close" si presenta come un lavoro decoroso, il migliore da dieci anni a questa parte. Alle inevitabili rughe si sovrappongono sfumature e rivoli ancora accattivanti, con tappeti d'archi e intelaiature di xilofono a intarsiare sovente il solido e bizzarro tessuto indie-rock del gruppo di Anversa, come a compensare la perduta scorza abrasiva e la minor frenesia ritmica ( anche se il singolo “Constant now” presenta una zampata alla Pixies sul finale). La title-track in particolare si propone come brano di punta, tra plumbee accelerazioni e sognanti risacche, quasi una versione nordeuropea delle allucinazioni barocche e latine di “Forever Changes” dei Love. Nel medesimo solco si inseriscono pure “The Final blast “ e “Easy”, mentre in “ Dark Sets In” spunta fuori l’ appesantita sagoma di un altro reduce degli anni 90, Greg Dulli, a conferire il suo tocco da dandy crepuscolare, operazione ripetuta in “Twice ( we survive)”. Meno convincenti invece gli episodi in cui la band insegue la “modernità” ricorrendo a fumose sonorità elettroniche, ad esempio in “Ghost” e “Second Nature”, laddove le mai sopite tentazioni cantautoriali-maudit di Tom portano a una riuscita imitazione di Leonard Cohen in “The end of Romance”, con versi quali “Oh Stephany I'm only letting this wash over me /Before you fade away”.
Classico album di transizione verso la terza età, in definitiva. Con la scafata perizia di mister Barman, Suds and Soda (still) mix ok with Beer.
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