Dinosaur Jr
Farm
J Mascis ti fa pensare allo Springsteen eroico e sudaticcio di “Thunder Road”, quello che sbraitava “Well I got this guitar /And I learned how to make it talk”. Una degna introduzione al primo e inimitabile guitar hero dell’indie rock, l’uomo che con capolavori quali “You’re living all over me” e “Bug” ha modificato la cartina geografica del rock underground americano nella seconda parte degli anni Ottanta. Per il quale il tempo è stato galantuomo. Solo più di dieci anni fa egli aveva sciolto quel che restava dei Dinosaur Jr tra l’indifferenza generale, pubblicava dischi solisti di cui a nessuno importava un beato nulla e gli toccava pure la beffa di vedere l’eterno amico-rivale Lou Barlow riverito come icona alternativa tra Sebadoh e Folk Implosion.
Adesso invece Mascis, fisicamente sempre più un incrocio tra il Bob di “Twin Peaks” e una versione nerd di Carlo Vanzina, si è ripreso il posto che gli compete, dopo aver risvegliato il rettile preistorico del Massachusets nella line up storica con diversi tour di successo e con l’acclamato “Beyond” del 2007. Tanto da essere acclamato persino nei reami dell’indie-pensiero più fighetto e con la puzza sotto il naso ( alla Pitchfork punto com insomma), mentre il nuovo album “Farm” viene pubblicato per i tipi della Jagjaguwar, l’etichetta più chiacchierata e cool del momento.
Il quale “Farm” è un disco tosto e solido, suona esattamente come un disco dei Dinosaur Jr dovrebbe suonare. Ben lungi dall’essere mera ripetizione o riciclaggio, affina e rinforza uno stile – melodie strascicate e voce indolente affogate in un mare di feedback, distorsioni e assoli sgangherati - che è ormai patrimonio espressivo collettivo del rock americano tutto. Una raccolta di canzoni perfette, in cui Mascis, Barlow e Murph distillano ariosità pop in mezzo alla proverbiale, mastodontica e febbrile elettricità estraendo dal cilindro un album solare e godibilissimo, quasi un “Zuma” nuovo di zecca. Si ascoltino gemme come la trottante, scanzonata “Over it” ( occhio al wah wah!) e “Pieces”, gli stacchi al fulmicotone di “There’s no Here” , le ipnotiche pulsioni della barlowiana “Imagination Blind”, i giochi illusionistici di “I want you to know” e “Plans” e la sinfonia epica di “Ocean the way”. Se la filastrocca stralunata di “See me” riporta ai momenti meno convincenti di “Where you been”, ci si consola con gli oltre otto minuti di “I don’t wanna go there”. Ovvero, l’ennesimo tentativo di J di cesellare la propria “Cortez the killer”, mediante una vertigine di sfaccettate progressioni elettriche solcate da luminosi gorghi di armonie irresisitibili.
Qual è il segreto di Mascis? Forse il suo essere rimasto un Peter Pan ingenuo e beffardo perso nel suo personalissimo e inaccessibile South Park, fatto di languori sentimentali, alienazione e struggente svogliatezza: chi se non lui a 44 anni suonati può essere credibile con versi quali "I got nothing left to be, do you have some plans for me? ". Che il dio del rock ce lo conservi ancora a lungo.
Tweet