R Recensione

6/10

Earlimart

Mentor tormentor

Il “pianeta indie” è davvero sterminato e compiere un censimento dei suoi abitanti sarebbe un’impresa forse troppo ardua da compiere a livello individuale. Riuscire a immergersi in questo enorme calderone e uscirne scopritori di nuovi gruppi e artisti davvero meritevoli è sicuramente una sfida ardua, ma molto stimolante. Riuscire però a effettuare una critica efficiente di tutto quello che si incontra per strada non è cosa così semplice.

Oggi il grosso problema dell’indie è il suo scadimento (probabilmente già avvenuto da anni) da mera attitudine (produttiva prima, etica e intellettuale poi) a un vero e proprio stile, genere musicale ben riconoscibile. Per quanto sia difficile riuscire a delimitarne i confini oggi capita troppo spesso di ascoltare un disco e di capire subito che vada classificato nello scenario indie. Questo a mio avviso è un grosso difetto perché quando il cervello arriva a comprendere immediamente la musica che filtra nell’aria vuol dire che il cuore ha già provato più volte quelle emozioni procurate dalle note inflazionate.

E quando una canzone si specchia in un modello antico per quanto mi riguarda sarà sempre ontologicamente inferiore a qualsiasi suono coraggioso che osi avventurarsi nell’ignoto.

Quando però ti capita tra la mani un gruppo come gli Earlimart, capaci di sfornarti tre dischi uno più bello dell’altro i dubbi cominciano a scuotere questi ragionamenti. Perché se è vero che il gruppo californiano (Los Angeles rulez) riesce a colpire testa e cuore come un fulmine con melodie romantiche d’annata è anche vero che l’intera loro carriera non sembra altro se non una ripresa e un’esasperazione di temi e melodie sfornate in primis dal grande cantautore (recentemente scomparso) Elliott Smith. Dall’esordio Kingdom of champions (2000) a Treble & tremble (2004), passando per Everyone down here (2003) gli Earlimart sono riusciti a ricreare le magiche atmosfere che caratterizzavano capolavori come Roman Candle e From a basement on the hill.

Il confine tra “scopiazzare” e “prendere spunto” è sempre estremamente labile, d’altronde in questo caso non ce la sentiamo di ridurre questo gruppo a una semplice copia-figurina. La personalità di Aaron Espinoza (cantante e anima del gruppo) è intensa e suadente e le strutture sonore hanno finora mostrato di saper spaziare verso suoni investigati altrove anche da Sparklehorse, Yo la Tengo e Grandaddy.

La progressiva accettazione di forme sempre più lente e intimiste ha forse intaccato il sound potente degli esordi ma ha favorito un legame di maggiore complicità emotiva con l’ascoltatore. L’impressione è però che l’equilibrio ancora molto ben bilanciato in Treble & tremble mostri qualche consistente crepa in Mentor tormentor con un’abbondanza eccessiva di brani lenti (pur intensi) che scade a tratti in momenti piatti e sonnolenti (Don’t think about me, Cold cold heaven) cui non riescono a sopperire le poche accelerazioni di pregevole fattura (Everybody knows everybody, Fakey fake, 700 100) né leggiadri coretti in falsetto (Gonna break into your heart).

Mentor tormentor non è un brutto album ma esagera nel voler ricreare quasi filologicamente bozzetti d’autore sulle tracce del maestro Elliott Smith. E’ questo il caso della stragrande maggioranza dei brani del disco, dall’elegante Bloody nose all’intima e leggera Answers and questions passando per Just beacuse e The little things. Una serie di canzoni romantiche quasi sussurrate che mostrano però troppo spesso poca ispirazione (la “preghiera” The world, la ripetitiva Nothing is true in conclusione) e che comunque soffoca l’ascoltatore con una malinconia fin troppo melensa.

Era meglio forse concentrarsi su composizioni sfavillanti come Nevermind the phonecalls dalla melodia accattivante (resa soprattutto dall’incantevole giro di basso) e dalle chitarre più graffianti. Invece troppo spesso chitarra e pianoforte sono relegati ad un mero accompagnamento quasi mortificante per i dotati musicisti del gruppo.

Ci rimane comunque un discreto disco, senonchè il minore della finora ottima discografia della band. Peccato, si poteva fare di più.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 1 voto.
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rubens 7/10

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