R Recensione

9/10

Early Day Miners

Offshore

Tanto per capirci, chiarisco subito la mia posizione: questo è per me è stato il disco del 2006, senza dubbio, senza remora alcuna. La formazione dell’Indiana capitanata da Daniel Burton l’avevo già incontrata sul mio cammino (e su Wonderous Stories), qualche anno prima per il loro precedente album All harm ends here. Il disco mi piacque e fu bello perdercisi dentro, per un po’. Ma non prese d’assedio i territori del mio cuore, cosa che invece ha fatto, lentamente, inesorabilmente, questo Offshore. Il brano da cui questo album prende il nome, ha come luogo d’origine Let us garlands bring, il lavoro del 2001: la versione originale, più breve (circa otto minuti), abitava in quel disco già pregno di stati emozionali decisamente non convenzionali.

Con il tempo gli Early Day Miners hanno aggiunto nuove sezioni e progressive dilatazioni, tanto da rendere Offshore una vera e propria suite che vive di sei movimenti organicamente sviluppati l’uno nell’altro, l’uno dall’altro, ma anche capaci di respirare autonomamente. Ma vi assicuro che una volta premuto il tasto play, il vostro ascolto si interromperà solo dopo 37 minuti e 35 secondi. Anzi troverete forte il desiderio di ricominciare da capo. Stilisticamente le seduzioni uditive che Offshore propone si possono, a fatica, collocare fra i Dirty Three (quelli di Ocean Songs, che  mi pare particolarmente affine), gli Slowdive (del sottovalutatoPygmalion), i Cocteau Twins, i No-man  di Returning Jesus e, quindi, i Talk Talk di Spirit of Eden (tanto per non smettere di citare questo disco capitale), anche se, come già accaduto in passato, emerge anche la spiritualità musicale del Peter Gabriel diretto da Daniel Lanois (vedi la magnifica Sans revival). Non mancano lunghi passaggi decisamente ambient, in odor di Brian Eno, come negli ultimi eterei minuti di Silent tents.

La line-up è in questa occasione accompagnata da una serie di ospiti di prestigio fra i quali vale la pena menzionare la cantante dei Black Mountain, Amber Webber, assoluta protagonista nelle suggestioni autunnali di Return of the native e alle backing vocals in Deserter, il chitarrista dei mitici Windsor for the Derby, Dan Matz, e, dietro il banco del mixer, il leader dei Tortoise, John McEntire e tutta la sua geniale sapienza. Gli EDM hanno saputo andar oltre i propri standard compositivi, riuscendo a dar pieno respiro alla propria scrittura, indipendentemente dalle etichette che da sempre si portano dietro i gruppi che si esprimono nella forma di suite, forse proprio in virtù del fatto che non provengono dal medesimo brodo culturale.

Superba l’apertura elettrica ed elettrizzante di Land of pale saints, che nella successiva Deserter si stempera in un dipinto elettroacustico che si evolve fino al climax emotivo in Sans revival. Return of the native acquieta gli animi, regalando una malinconica suggestione visiva con tinte color desert-rock; l’ambientale  Silent tents apre al gran finale di Hymn beneath the palisades, che chiude il cerchio, riassestando il suono, con verve psichedelica, attorno alla pura energia dell’inizio, in un crescendo che lascia senza fiato.

Di grande pregio poetico i testi di Daniel Burton, essenziali eppure evocativi: “…navi abbandonate, vagano nella corrente / Immobilità e macerie / Luci di sicurezza / Facciate di scarsa qualità / Calore bianco e miseria / Querce arrugginite e  libellule / Un ballo in maschera, una maschera da Martedì Grasso / Una facciata di bassa qualità / Calore bianco e misera”. Ora basta con le parole.

www.secretlycanadian.com

www.earlydayminers.com

V Voti

Voto degli utenti: 9/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

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Utente non più registrato alle 15:51 del 11 luglio 2017 ha scritto:

Splendido disco. Chi altro poteva recensirlo...