R Recensione

4/10

Figurines

Skeleton

Qual è il problema di Skeleton e in generale dei Figurines? Non certo di non saper fare buona musica. Ci riescono benissimo, altrochè. Dimostrano inoltre una buona conoscenza del panorama alternative e indie (qualunque cosa vogliano dire questi termini) dato che riprendono alla perfezione la lezione di Pixies, Built to Spill e (in misura minore) dei vari Shins e Modest Mouse che in questi anni hanno allietato con un sorriso una landa raggelata da vagonate di new rock puzzolente.

Forse il nome potrebbe essere un problema per questi bei ragazzotti danesi. In effetti Figurines non è il massimo dello stile, diciamocelo subito chiaro e tondo, e sia chiaro che lo dico a denti strettissimi con un eufemismo mastodontico. Ma in fondo non è nemmeno questo il loro problema.

Ora, prima che il lettore si spazientisca giustamente e cominci a lanciare improperi contro il sottoscritto cercherò di venire al dunque: il problema dei Figurines è che sono nati con quindici (volendo essere buoni anche solo dieci dai) anni di ritardo. Certo sappiamo tutti che non viene più inventato davvero niente nel rock all’incirca dal 1967 ma il punto è che NON SI PUO’ PIU’ TOLLERARE GRUPPI DEL GENERE. Troppo spesso mi è capitato di chinare il capo di fronte a gruppetti assolutamente inutili che mantenevano comunque un minimo pregio di riuscire ad allietare con una mezzora di discreto rock fatto bene. Già sentito mille volte ma fatto bene. Ora però diventa inevitabile ribellarsi.

  Perché?   Ditemi voi perché io ora dovrei parlare bene di cinque giovani che si fanno chiamare Figurines e che non fanno altro che riproporre i soliti giri, le stranote melodie, gli stramaledetti riff già sentiti mille volte? Dovrei forse farlo perché si tratta di un potenziale fenomeno indie e quindi è peccato parlare male di un gruppo sconosciuto che oltrettutto si è fatto strada da solo sputando sangue fino a questa scrivania di ebano nero da cui sto ora scrivendo? Ma perché? Perché devo lanciare fiamme di fuoco sui nuovi dischi degli Stooges e dei Coral e non dovrei disprezzare nel profondo i Figurines?

Per la musica, direte voi. Per la musica che in fondo è carina, si fa ascoltare, e allieta per un buon tre quarti d’ora. Già, già. Vi vedo lì a canticchiare Rivalry, a sdrucirvi gli occhi con l’introduzione sofferta del piano-malinconico-voce-straziante di Race you, a ballare sulle trascinanti The Wonder e All night, a farvi rimbambire dal riff e dal coretto squisitamente 60s di I remember.

Ho provato a contarle le canzoni rubate (o copiate, o sgraffignate, chiamatelo come volete ma non vi azzardate a limitare il tutto a una semplice ispirazione) ai Built to Spill, e sono la bellezza di undici (su quattordici). Alcune sono davvero carine da sentire (The Wonder, All night, Silver Ponds, Rivalry, Wrong way all the way e la ballatona finale Release me on the floor) e mi tentano diabolicamente di cancellare tutto quanto scritto finora. Altre sono invece troppo brutte per essere state scritte da Doug Martsch ma lo stile è indiscutibilmente quello (le banali Ambush, I remember, Other plans, la moscia Continuous songs, la spezzettata Fiery affair).

Ora ditemi voi che cosa dovrei farmene di una band che riesce a pubblicare un disco con undici brani su quattordici che sembrano la succursale in rovina di uno splendido monumento nazionale?

Oltrettutto sapendo che il disco d’esordio, tale Shake a mountain, era riuscito nell’incredibile impresa di giocare la partita perfetta realizzando il cento per cento (sempre con i Built to Spill, per la cronaca) dei brani “presi in prestito” anche se con un pelo di piglio in più…

Si può forse sperare che il prossimo When the deer wore blue (sul quale sembra che siano già al lavoro) possa arrivare addirittura ad una sola accettabile metà delle composizioni vincenti l’oscar per il miglior brano non originale?  

Forse. Nel frattempo l’unico consiglio che mi resta da dare è di andare a rispolverare quei gioielli che portano il nome di Perfect now on, Ancient melodies from the future, You In Reverse, sì insomma ci siamo capiti: tutta la discografia dei Built to Spill. Sempre meglio ascoltare gli originali non trovate? Non si rischia di finire in carcere per contraffazione e la coscienza è a posto.

V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 1 voto.
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