V Video

R Recensione

7/10

French Cassettes

Rolodex

È un piacere anche solo osservarli, i French Cassettes, vederne i volti da albo illustrato affacciarsi da una minuscola finestra, tutti insieme, come una sorta di casuale, bislacca comitiva, tutta stipata lì nella cornice di uno stretto parallelepipedo, chi con i suoi baffi indie, chi con gli occhiali anni Settanta e le guance paffute, chi con la classica frangia corta alla british maniera, quella che vedevamo colorarsi nei videoclip di alcune band britpop degli anni Novanta. E ascoltarli è come bere un variopinto frullato dalla cannuccia in una giornata di maggio, un frullato che ci ricorda molti di quei sapori che ci hanno fatto sorridere per dieci, se non quindici anni, quando parlare di indie rock (anglo-americano) era come parlare del tempo atmosferico. Insomma, Daniel Carrico (basso e voce), Ben Isganitis (percussioni), Scott Huerta (voce, chitarra) e Mackenzie Bunch (chitarra, tastiere, voce) ci fanno la cortesia di ricordarci quanto alcuni di noi siano invecchiati e, allo stesso tempo, di ridare linfa a certi suoni che non sembrano passare mai. Cosi in questo spensieratissimo e colorato Rolodex, il cui nome deriva da uno strumento vintage - in generale i French Cassettes (il nome già lo evoca) sembrano molto affezionati agli oggetti da mercato delle pulci - utilizzato negli anni Novanta, una sorta di trabiccolo da scrivania per appuntare numeri di telefono, indirizzi, nomi.

Qualcuno di loro quando si parla di indie fa lo gnorri, usa gli anacronismi come scusa (“ne ho sentito parlare solo dopo due anni dalla formazione della band”), eppure basta dare un ascolto ai primi dieci secondi di brani come Dixie land o Utah per tuffarci, da una parte o dall’altra, in un mare di ricordi così evidenti da rendere il compito di catalogarli (magari in un vecchio rolodex) impossibile. Voci e suoni che sono stati dei primi Arctic Monkeys, di band come The Rifles, Vampire Weekend, Bloc Party, Local Natives, Great Mountain Fire, forse, persino, i Foals e gli ultimi Peter Bjorn and John (visto che Nostro Signore è nato ce li mettiamo tutti).

I riff, le cadenze vocali a coro so 2008 (“cemetery, cemetery, cemetery, cemetery, cemetery”), l’ironia dei testi (“say you’ll stay here when you don’t go to sleep / but then you won’t, you speak in onomatopoeia”): tutto sembra ricordarci quei tempi. Ma non vogliamo fraintendimenti: è un intervento, quello dei French Cassettes, riuscito, che non dev’essere etichettato solo nelle forme della nostalgia o, se vogliamo, del revisionismo. Un suono più tradizionale come quello di Isn’t anyone, dove le voci viaggiano tra i Fleet Foxes e gli anni Settanta, dimostra che Rolodex è un album capace di leggere davvero certa storia. Così City Kitty, dove la voce ovattata ci ricorda quella degli Strokes di Room on fire. Ben riuscita la parte strumentale e ritmica di Santa Cruz Tomorrow, così come quella di Sunday soda, che ci fa ballare con pochissimi ingredienti per poi lasciarci tra le dita ruvide della coda chitarra e synth.

Un entusiasmo adolescenziale al cui contagio, almeno per la breve durata di Rolodex (neanche una mezz’ora), non possiamo essere immuni. Raccomandato uno sguardo anche ai coloratissimi e divertenti videoclip vintage che impreziosiscono l'ascolto di quest’album. 

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.