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R Recensione

7/10

Gill

Chi ha ucciso Luigi Tenco?

Gill è uno che le cose non le manda a dire, un po’ come faceva Luigi Tenco quando gli capitava di scrivere, cantare o, peggio, quando veniva interpellato sui mali del suo tempo. Proprio al grande cantautore, Gianluca Gilletti ha in qualche modo dedicato il suo disco d’esordio, e dopo trentasette minuti di ascolto è chiaro che non si tratta di una dedica, bensì d’una denuncia. Piemontese Tenco, siciliano Gill: nonostante ciò tra i due scorre buon sangue. “Chi ha ucciso Luigi Tenco?” è infatti il disco quantomeno dissacrante di uno che s’è rotto le palle del paese in cui vive, un paese in cui anche i più ostinati, i duri, i più combattivi alla fine cadono, perdendo i nervi, cedendo alle lusinghe del sistema o semplicemente espatriando.

Anche se i toni di Gilletti sono sempre pacati, pur non nascondendo tutto il suo fastidio verso questo mo(n)do, siamo lontani dalla poetica jazz tenchiana. Ma di certo nemmeno Tenco avrebbe resistito a questa modernità e, tanto nel 2014 come nel 1967, il proiettile in testa se lo sarebbe ficcato lo stesso. Fatto sta che il brano centrale del disco di Gill, “La trattativa”, parte dall’estrema protesta sanremese del gennaio ’67 per tratteggiare un continuum con Pasolini, Falcone, Borsellino, Cucchi: italiani uccisi dalla mafia, dallo Stato, dall’ignavia, più di tutto dalla mediocrità. Insomma, ogni volta che Gill prende a schiaffi questa corruttela, Luigi Tenco fa un sorriso.

Con arrangiamenti scarni e tenebrosi, il nostro catanese instaura un decagolo di improperi, che vanno dall’amore alle ansie quotidiane, dalla Repubblica ai social network, giù fino alla Scapigliatura. In “Odio il mio computer” canta: «Vi divorerà / il vostro primo grande amor: / Youporn»; in “Visualizzazioni”: «Le agenzie di booking / dei promoter sudici / ai concerti freddi, / materiali resistenti, / giornalisti tristi / e mafiosi orgogliosi» (qui torna alla mente il Fortis di “Milano e Vincenzo”). Insomma, nei temi tutto è assimilabile allo squallore postmoderno di Vasco Brondi e degli Zen Circus. Gill pure cita, con tanto di crediti, Stefano Benni e Giovanni Lindo Ferretti in “Scusami”, Piero Ciampi in “Ultima Repubblica”, fino alla massima citazione tenchiana di “Vedrai vedrai”, perché in fondo un briciolo di speranza deve pur esserci, altrimenti di che diavolo stiamo parlando?

Ecco, per finire, Gill qualcosa deve dircela anche a noi, inutili mediatori tra l’artista e il pubblico, intenti a promuovere o smontare prodotti discografici di nicchia, underground, marginali, di prospettiva, di sicuro successo, di ampie vedute. «Quante recensioni di canzoni / hai fatto scrivere / da qualche stupido indipendente / continuamente controcorrente, / calligrafia da terza elementare». Vadano tutti al diavolo, anche Gill!

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