Gomez
A New Tide
Ve li ricordate i Gomez ? Quelli di “Tijuana lady” e “We haven’t turned around” ? I 5 ragazzi di Southport capaci di mischiare blues, pop e psichedelia ? Quelli sporchi come gli Stones, geniali come i Beatles ed eterei come i Pink Floyd? Bè dimenticateli, quei Gomez non ci sono più !
Dopo l’esordio a dir poco superlativo di Bring It On del 1998, bissato un anno dopo dal miracolso Liquid Skin, i Gomez hanno cominciato una discesa verso un appiattimento creativo, per ora purtroppo inarrestabile. Dopo il pessimo In Our Gun del 2002, la band inglese ha tentato invano di dar vita ad un degno successore dei primi due album, ma sia Split The Difference (2004) che How We Operate (2006), sebbene abbiano dato segni di leggera ripresa, hanno fallito l’impresa. Ma veniamo a questo New Tide, di sicuro il migliore da 10 anni a questa parte.
“Mix” parte acustica e docile come una ballata qualsiasi, dove la voce nasale di Ian Ball si trascina pigramente, finchè la strumentazione si amplia ed il brano si eleva ad un livello decisamente superiore. Inizio piacevole. “Little pieces”, affidata invece alla voce roca e profonda di Ben Ottewell, si regge su un riff tanto semplice quanto efficace e si apre in un ritornello che difficilmente riuscirete a dimenticare. Passando attraverso la ritmata “If i ask you nicely”, con tanto di coretto ehlalla ehlalla, e la vagamente malinconica “Lost track” si arriva all’esemplare “Win park slope”, tipico esempio di quel sottogenere detto Folktronica di cui i Gomez furono i primi esponenti. Un brano perfetto e misurato in tutte le sue componenti che svela però ben presto tutti i lmiti di un disco ben prodotto, ben studiato e ben suonato ma purtroppo senza anima.
Scorrendo ancora la tracklist, la magagna si fa sempre più evidente : la freschezza e la sporca genuinità degli esordi è qui riproposta come una formula che già al secondo ascolto stanca e risulta obsoleta. “Airstream driver” è un esempio perfetto di come la mancanza di un’idea originale spinga i 5 ragazzi a cercare il ritornello paraculo a tutti i costi ed a girargli intorno all’infinito. Il disco scorre senza sussulti per altre 4 tracce e mostra qua e la qualche sprazzo di pura ispirazione (“Very strange”) che lascia ben sperare per il futuro. Per ora gli inglesini sembrano proprio aver perso il tocco magico degli esordi e, sebbene A New Tide risulti più gradevole e riuscito dei suoi recenti predecessori, non solleva la band da una mediocrità creativa sempre più allarmante.
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