R Recensione

6/10

Los Campesinos!

We Are Beautiful, We Are Doomed

I contadini del Galles tornano nei negozi con un secondo cd di inediti dopo soli otto mesi da Hold on Now Youngster (2008) che grande entusiasmo ha suscitato in campo indie e non solo.

A sapere che i ragazzi suonavano a Cardiff (se un computer ha le casse fuori uso leggi le informazioni di MySpace senza curarti dell’audio) c’era da immaginarsi rabbia melanconica o folk-punk da miniera; invece l’apparente spensieratezza e vivacità che permea i Los Campesinos!, dopo aver stupito con il successo d’esordio, non viene a mancare nemmeno stavolta.

Siamo davanti a un lavoro che porta avanti il discorso iniziato sul web e nel mondo studentesco gallese, rapidamente asceso al circuito internazionale. Sono sette ragazzi che hanno fatto innamorare buona parte della critica e non pochi fan.

Certo se uno si aspetta che rompano tutti gli schemi, saltando continuamente e irrompendo in ogni dove, rischia di ritrovarsi deluso. La linea è decisamente continua e anche se il tutto si fa più definito e acquista una direzione più chiara non ci sono sostanziali novità. È pur vero che il tempo materiale per un cambio di clima creativo non c’è stato, ci voleva un genio fortunato - come il compagno di classe che non ha studiato Catullo e si inventa un collegamento tra un carme latino e Il Vecchio e il Mare. Pazienza si dirà, almeno non hanno riproposto scarti e inediti. Vero, ma un minimo di rammarico, sullo sfondo, è inevitabile.

Da un folk senza artigli a una piacevole agitazione musicale, tutto resta dentro a un clima britannico, anche perché del gruppo (giustamente) nessuno è gallese, ma al massimo russo. Così resta facile rendersi conto che un pizzico di follia (positiva) non manca di certo. Tanto che a concentrarsi sui testi si vede bene che la solarità di superficie nasconde tutt’altro spirito d’animo. Forse è questa capacità di restare sopra le righe pur non perdendo il contatto con la realtà che incuriosisce e attira.

Synth, violini e chitarre buone tanto per i blog d’underground quanto per Virgin Radio Italia. Non è un modo per dire né carne né pesce, non strumentalizziamo. L’edizione “materiale” del disco (più che curata e in limited edition) potrebbe spingere a arricciare il naso; già cascati nel marketing? Ai contenuti và la sentenza.

Violini, pianoforte e ritmi scanditi con grande spensieratezza accompagnano le canzoni, incorniciando lo scambio di voci maschile/femminile che sicuramente dà molto dell’effetto d’insieme.

C’è ancora molto (troppo?) degli Architecture in Helsinki (soprattutto The End Of The Asterisk), mentre restano passaggi che richiamano ai Sonic Youth e in generale a tutto l’universo indie, del quale si ritrovano il ruolo di “riassunto generale”., seppure forzato da alcuni critici/fan.

Il pericolo è lasciarsi prendere troppo dall’entusiasmo, sopravvalutando la parte nuova su quella influenzata e dedotta. Il rischio è bruciarli. Questa seconda uscita è decisamente rincuorante, perché tiene la barra ferma e solida, ma non riesce ad andare troppo in là dal punto di partenza.

Una sufficienza più che piena, a metà tra il 6 e il 7 è il voto, per quanto possa valere un numero rispetto a un’emozione.

Un gruppo affiatato, che si diverte e fa musica per il gusto di farla, senza copiarla. Pronti a lasciare il segno, per adesso si limitano a rimarcare (seppur con più forza) quello precedente.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 3 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5

C Commenti

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otherdaysothereyes (ha votato 7 questo disco) alle 21:11 del 15 gennaio 2009 ha scritto:

Sono d'accordo ma

Secondo me qui il 7 ci sta eccome! lo trovo forse anche più coinvolgente dell'esordio.