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R Recensione

6/10

Low-Fi

What We Are Is Secret

Napoli è una città artisticamente sempreverde, con una scena elettronica di tutto rispetto (Meg, Rino Cerrone, Retina.it, Marco Carola, Resina ecc.) e un underground, ormai più che sbocciato, di altrettanta eminenza (99 Posse, Almamegretta, 24 Grana, Co’Sang, Raiz ecc.). Di quell’ambiente di contaminazioni mediterranee, africane e arabe, la città di Napoli ne è sempre stato l’emblema, portando avanti con testardaggine una scena tanto internazionale quanto dialettale. I Low-Fi, anch’essi partenopei, hanno invece deciso di cantare in inglese, tentando di allargare l’import-export culturale. “What We Are Is Secret”, pubblicato dalla Octopus Records, è il primo vero album della loro discografia e si presenta, almeno nelle sonorità, molto vicino ai Subsonica rock de “L’Eden” o ai Planet Funk di “Static”. Dopo l’EP prodotto da Giuseppe Fontanella dei 24 Grana nel 2010 i quattro Low-Fi avevano girato l’Europa per mettere a fuoco i propri obiettivi e le prospettive future, e adesso sono qui per rimanerci.

Da “Something” a “Daylight” la formula compositiva new wave è la stessa degli ultimi venticinque anni, mentre in “Dead Disco Syndrome #1” il sound si fa più raffinato e accomodante, con bordate di chitarra e intermezzi molto decadenti. “Speed Control” si inserisce invece nel filone punk rock, e non è un caso visto che il più delle volte gli artisti wave transitano nel punk prima di ammorbidire le proprie istanze artistiche. In quinta posizione c’è la title-track, in stile Placebo e per molti versi simile all’apertura di “Something”, la cui forza risiede nella maggiore propensione pop, complice anche la voce di Alessandra Gismondi; il disco continua compatto, senza stravolgimenti o repentini cambi di forma. Il sound è metallico, per la maggiore, ma la Roland JP-8080 di Fabio Sorrentino svolge egregiamente la sua funzione di modulo analogico di sintesi, rendendo l’impasto sonoro dolciastro, in un mirabile sound design finale, nonostante Adriano Belluccio, con le sue chitarre scorbutiche, tenti di sporcare – si fa per dire! – l’atmosfera musicale venutasi a creare. L’album prosegue col theremin di “Private Revolution” e l’aria si fa incendiaria come in “Kick” dei White Rose Movement, per tornare agli estintori di “The Evidence Is A Missing Link”, in cui il piglio elettronico ha la meglio sul noise e la voce di Alessandro Belluccio torna quieta e rassicurante. Sven Claussen alla programmazione e Daria Chepel e Mark Marakesh ai microfoni vengono in aiuto dei Low-Fi per confezionare “On The Scene”, un pezzo molto vivo e certamente ben suonato dal punto di vista tecnico. Dopo l’arrangiamento quasi esclusivamente elettronico di “Steinhaus” arriva il momento migliore di “What We Are Is Secret”, ovvero la lenta chiusura electrowave di “Piano Metal”, una traccia di gusto, con una cadenza di batteria che pian piano traghetta l’intero disco verso un’esplosione non violenta di sintetizzatori. Praticamente il CD finisce nella stessa maniera in cui era cominciato e, a ben vedere, è difficile dire se sia un merito.

Va detto che il genere portato avanti dai Low-Fi con tanta veemenza è piuttosto inflazionato, soprattutto a livello internazionale, tanto che nell’underground ci sono già diversi progetti, spesso naufragati, come RFID, OshO, 46bliss, The Kills o Wideband Network; sarebbe dunque interessante ascoltare in futuro qualcosa di spiazzante. Bella comunque l’idea grafica in 3D, con un ragazzino che urla con uno scarabocchio sulla bocca a fargli da bavaglio, forse per non sentire il suo livore, il suo capriccio, o la sua protesta ingenua e genuina contro un mondo fin troppo squallido.

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