Maximo Park
Quicken The Heart
Ricordo un festival del 2005, Bologna. Due ragazze giravano con aria compiaciuta, birre in mano, sfoggiando due t-shirt rosse, una con la scritta ‘Maximo’, l’altra con la scritta ‘Park’. Erano giovani. (Carine). (Disoccupate, ma che importa; anch’io). Cool. Indie. Irresistibili. Tutte qualità dei Maximo Park, passate a loro per osmosi vestiaria. Era il loro momento. “Apply Some Pressure” era il singolone che le band neonate suonavano in sala prove per conoscersi, l’accento durissimo di Paul Smith tirava un sacco, il suo scatto angoloso sul palco era spettacolare, Bloc Party, The Futureheads, Kaiser Chiefs, Editors, Franz Ferdinand erano fighi ma non così tanto.
Adesso che è il 2009 e c’è (lo sapevate?) la crisi, i Maximo Park sono sfiancati, sciapi, intristiti, “Apply Some Pressure” la suonano già nei locali revival, le altre band della truppa britannica sono alla deriva tanto che persino NME non le caga più, Paul Smith usa cappelli con tesa ampia e parla malinconicamente di baci non dati, con accento smussato. La vita è proprio un imbuto.
Il terzo disco dei Maximo Park, per la verità, di diverso rispetto ai precedenti ha solo la qualità delle canzoni. Mancano i grandi colpi di “A Certain Trigger”, mancano le cadute di “Our Earthly Pleasure”, sicché alla fine si staziona in una medianità verso cui è difficile tanto appassionarsi quanto provare irritazione. È un disco, “Quicken The Heart”, che scivola liscio, tra scarsi recuperi dei nervosismi staccati dell’esordio (“Wraithlike”, “In Another World”) e molto più numerosi ghigni di post-punk annacquato nel pop (“A Cloud Of Mistery”, “Calm”).
Perché se era chiaro fin da alcune pieghe incupite del debutto che Smith la vena nostalgica ce l’ha ben sviluppata come ogni inglesino che si rispetti, qui la tendenza diventa palese: “Let’s Get Clinical” e “Roller Disco Dreams”, con spinte di synth importanti, ne sono fulgidi esempi in chiave, rispettivamente, introversa e sprintosa. Molto meglio la prima, mentre scende verso il nulla la coda del disco, largamente ignorabile (tranne, forse, l’anthemica new wave “Questing, No Coasting”).
E in tutto questo perdere sapore, mi chiedo: che fine hanno fatto quelle due ragazze? Cosa ascoltano adesso? Buttate anche le coppie di t-shirt con le scritte ‘bloc’ e ‘party’, ‘kaiser’ e ‘chiefs’, avranno di che vestirsi? La verità, ragazze, è che certe stagioni sono proprio brevi. Brevissime.
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