V Video

R Recensione

7/10

Maximo Park

Too Much Information

Nonostante tutto, loro ci sono. Ci sono sempre stati e nel loro piccolo raggio d’azione sono riusciti là dove altre indie rock band anglofone hanno fallito: crearsi una nicchia dove far valere le proprie velleità artistiche. E, dati alla mano, sembra che ci siano riusciti. I Maximo Park continuano a marciare sul crinale dei mercati discografici con passo deciso reiterando una proposta che in altri casi ha sancito l’obsolescenza di band dall’altrettanta caratura artistica.

Ed allora perché cambiare una formula consolidata e vincente? Forse perché i trendsetter mutano continuamente e prima o poi le schitarrate riproposte in ogni album, prima o poi ti si ritorcono contro. Oppure l’urgenza comunicativa dettata dalla maturità è tale che non si bada al mutamento repentino della forma. Potremmo parlare di tante ipotesi combinate a migliaia di formule ma la verità è una ed una soltanto: i Maximo Park hanno virato la rotta tirando talmente tanto il freno a mano da lasciare i pneumatici spalmati sull’asfalto.

Too Much Information suona il de profundis delle Rickenbacker sfoderate nel video di Our Velocity, dei Marshall a quattro coni che propalano i riff tetragoni, delle cavalcate rock fatte di crash e sudore e delle  “psicosmorfie” di Paul Smith. Insomma, quella che per dodici anni è stata la cifra stilistica imprescindibile oggi diventa materia (quasi) evanescente.

Ed è proprio nel punto di intersezione più rischioso, quello che cerca il sodalizio tra vecchio indie rock e nuove pulsioni electro wave, che i nostri hanno trovato nuova linfa artistica. Laddove i Bloc Party, tanto per citare una band a caso, sono capitolati tragicamente senza riuscire più a destarsi dallo stato letargico. Ecco, in quel preciso istante i Maximo Park hanno capito quale marcia ingranare per continuare a percorrere il loro personalissimo viaggio artistico senza troppi intoppi.                                                                                                   Nascono così lavori come Leave This Island (singolo scelto come apripista) che punta la sua forza capacitante in un tappeto di synth che ammicca paurosamente alle armonie eteree di Enjoy the silence, o il down beat di Brain Cells che segna il passo per il nuovo Paul Smith, devoto ad un registro vocale mutaforma che trova i suoi principali riferimenti in John Foxx e negli Hurts.

Nel cambio repentino, oltre ai nuovi trip in direzione Foals e Maccabees, permangono comunque strascichi di un passato che fatica a tramontare. O meglio: più che le influenze pregresse riaffiora un certo attaccamento alle radici di appartenenza, una sorta di “metal will never die” in salsa brit. Ne sono esempi lampanti Lydia, the ink will never dry e Midnight on the hill in cui aleggia prepotente il fantasma dei The Smiths e tutto il retaggio della British old school. Mentre una menzione a parte va fatta per My bloody mind che fugge qualsiasi catalogazione standardizzata puntando su un input progressive fatto di incessanti tempi dispari.

Ebbene, Too much Information è questo. Un curioso nomen omen che funge da monito per tutti i conservatori della prima ora e svela urbi et orbi il futuro incerto della band per bocca dello stesso Paul Smith, quando nell’ultimo brano canta “I don’t know where we’re going” accompagnato da un morbido arpeggio di chitarra. Neanche noi lo sappiamo caro Paul ma probabilmente ci piacerà.

V Voti

Voto degli utenti: 4,8/10 in media su 3 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
ThirdEye 3,5/10

C Commenti

Ci sono 13 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

Gio Crown (ha votato 6 questo disco) alle 17:44 del 6 febbraio 2014 ha scritto:

Mi scuso in anticipo...parlo dal punto di vista di una "vecchia" (ho 51 anni....) ascoltatrice di musica e conosco poco gli altri gruppi citati nella recensione..

Ma questo album è una sfacciata scopiazzatura di musica anni 80 e in qualche caso (My bloody mind ) addirittura anni 70 con la chitarra elettrica dei Beatles prima maniera. E non è neanche ripresa dalle cose migliori.

Se non sapessi che è un altro gruppo giurerei che alcuni dei brani li abbiano scritti King o gli A-ha. Addirittura Aztec Camera (pessimi!) Qua e là ci sono anche i Depeche Mode ( Brain Cells, ma gli piacerebbe essere come loro!)

E un disco carino e anche piacevole da ascoltare per una come me che aveva venti anni negli anni 80...ma qui di originale, rielaborato anche, non c'è proprio nulla!British old school...mah forse...

A me piace sentire cose nuove e ascolto golosamente tutto ciò che capita anche di gruppi giovanissimi, ma mi piace la novità, l'originalità. e qui davvero non ce n'è traccia..

Leonardo Geronzi, autore, alle 21:03 del 6 febbraio 2014 ha scritto:

Da come parli sembri non aver preso coscienza di un fatto basilare: la musica, così come le moda e l'economia funziona a cicli. In pratica quello che negli anni '90 era stigmatizzato per l'eccessiva leziosità (synth e orpelli elettronici) che ne minava la comunicazione finale, nel ventunesimo secolo ridiventa improvvisamente il leit motiv della proposta.

A questo proposito mi sembra assurdo che non hai sentito null'altro di simile nell'attuale mercato discografico: tra new wave, dark, synth pop sembra di essere tornati all'era del lustrino con spalline. Dai Cold Cave sino ai Chvrches passando per i Ducktails. Insomma, la musica pullula di riproposizioni più o meno pedisseque.

Per ciò che concerne l'album è ovvio che nella critica si deve prestare orecchio al particolare, entrando il più possibile nei meandri della band in questione. A mio avviso Brain Cells ricorda i Depeche tanto quanto Starway to Heavean potrebbe ricordare un pezzo dei Cryptopsy, così come il la menzione fatta alla British old school: è evidente il tentativo di omaggiare certe linee vocali del Morrisey d'antan cercando di evadere dalla facile catalogazione

Anche a me le novità piacciono ma a volte l'innovazione a tutti i costi odora di vecchio. Senza contare che non capisco il perché si debba sempre andare "oltre", alla ricerca di un qualcosa che sia sempre totalmente diverso dal passato. Personalmente ritengo che uno tra gli album più belli del 2011 sia 50 songs for snow di Kate Bush, un piccolo gioiello che si avvale, per metà della sua durata, del solo supporto del piano forte e della voce. Quello che conta sono le canzoni, l'interpretazione e la proposizione dei brani. Il rock vanta 40 anni di 4/4 eppure di noia non c'è ombra!

Gio Crown (ha votato 6 questo disco) alle 12:54 del 7 febbraio 2014 ha scritto:

Dunque...mi rifaccio alla mia precedente premessa

"Mi scuso in anticipo...parlo dal punto di vista di una "vecchia" (ho 51 anni....) ascoltatrice di musica e conosco poco gli altri gruppi citati nella recensione.."

Ho ascoltato altri gruppi moderni che riprendono sonorità del passato (The black angels e Kisses e perchè no Moon Duo) ma almeno un guizzo di rielaborazione propria ce l'avevano. Qui no, sembrano una tribute band che fa brani propri.

Anche le note sono sette e da tempo immemore gli artisti ne riprongono combinazioni che danno luogo a meravigliose musiche e con questo? Altro è copiare di sana pianta uno stile e riprodurne passaggi e armonie pari pari senza provare nemmeno una personale riscrittura. Prendi Her name was Aurdre o Where we're going: non avessi saputo che era un altro gruppo veramente avrei detto che king era tornato a fare musica; In O My Bloody Mind pezzi interi tratti dai Genesis (non riesco a ricordare da quale brano)

Dr.Paul alle 14:51 del 7 febbraio 2014 ha scritto:

ma chi è King?

REBBY alle 16:29 del 7 febbraio 2014 ha scritto:

Provo ad indovinare, visto che sono quasi coetaneo di Gio eheh

Un tuo omonimo: Paul King leader dei King ghgh, a mio ricordo per nulla originale, anzi un new romantics fuori tempo massimo, che cavalcava la moda della disco wave più banale e superficiale con mesi e mesi di ritardo. Uno buono per lo schermo (videoclip) che poteva piacer molto alle ragazze per la sua faccia (di cazzo eheh) ed il suo ciuffo.

Se ho indovinato e questo album lo ricorda i Maximo park sarebbero caduti veramente in basso....

target alle 16:49 del 7 febbraio 2014 ha scritto:

Lo ricordiamo soprattutto (a mo' di Troy McClure) come vj per l'mtv inglese negli anni '90 (presentava "Greatest hits"). Dei King ricordo "Love and pride", e non proprio con piacere. Dei Maximo Park voglio ricordare "Apply some pressure", che faceva scatenare gli (e soprattutto le) indie kids anni zero. E dimenticherei volentieri tutto il resto.

Dr.Paul alle 13:27 del 8 febbraio 2014 ha scritto:

ah ma quel King lì lo consco, love and pride e taste of your tears erano discreti singoli anni 80....ma con questo disco quel King c'entra zero virgola zero, come anche i genesis (Collinsiani o meno).

zagor alle 10:44 del 9 febbraio 2014 ha scritto:

io pensavo si stesse parlando di King Diamond, non capivo!

Gio Crown (ha votato 6 questo disco) alle 10:46 del 10 febbraio 2014 ha scritto:

A me invece sembra proprio di si, pensavo a Alone without you e a Love and Pride (i King non erano da buttar via, c'è stato di peggio in quegli anni) quanto ai Genesis pensavo a brani tratta da Selling England by the pound. Può darsi che misbagli, ma che volete farci questa è la sensazione che mi danno questi maximo park

Gio Crown (ha votato 6 questo disco) alle 10:51 del 10 febbraio 2014 ha scritto:

Invidioso del bel visino di King?....a quel tempo il ciuffo da gallo cedrone andava di moda se ben ricordi...e poi dicono delle donne....

REBBY alle 13:27 del 10 febbraio 2014 ha scritto:

Ti rivolgi a me, vero?

Se così è: no perché il mio, all'epoca era più bello eheh Mai stato invidioso di altre facce io ghgh

E poi è evidente che abbiamo gusti diversi lol

PetoMan 2.0 evolution alle 23:06 del 6 febbraio 2014 ha scritto:

Ho sentito il pezzo proposto e mi è piaciuto. Incuriosito mi sono andato a sentire gli altri brani, ci sono quasi tutti sul tubo, anche se qualcuno non lo trovo, ad esempio l'ultima On The Sly. Però quelli che ho sentito mi hanno colpito. I brani più fun scorrono belli lisci, quelli più riflessivi, tipo Fade into You, hanno un mood più malinconico, ma senza essere opprimenti. Vero che ha un sapore un po' di déjà vu, ad esempio in Lover, Lover, Lover si sente un po' di roxanne, qualcosa dei clash e altro... però poi questione di punti di vista, per me non è un difetto, anzi, forse mi piace proprio per questo.

Leonardo Geronzi, autore, alle 16:19 del 7 febbraio 2014 ha scritto:

Boh! Continuo a non capire. Che il gusto sia soggettivo è sacrosanto, per carità, ma dire che i M.P. hanno fatto un album brutto perché scopiazzato dagli anni '80 secondo me non ha senso, in virtù del principio che oggi la stragrande maggioranza dei gruppi inserisce dei chiari riferimenti a quel periodo storico.

E credimi, di vacuità ce n'è in molti album recenti, ma qui proprio non ce la sento. Certo siamo lontani dalla perfezione assoluta ma marcare con la penna rosa ogni sequenza di note che ti ricorda altre band mi sembra un attimo pretestuoso.

Comunque per fugare ogni dubbio sono andato a leggermi le critiche internazionali e all'incirca (chi più chi meno) la pensano tutti come me, a dimostrazione del fatto che non mi sono totalmente rincoglionito. Poi, per carità, i gusti son gusti.