Maximo Park
Too Much Information
Nonostante tutto, loro ci sono. Ci sono sempre stati e nel loro piccolo raggio dazione sono riusciti là dove altre indie rock band anglofone hanno fallito: crearsi una nicchia dove far valere le proprie velleità artistiche. E, dati alla mano, sembra che ci siano riusciti. I Maximo Park continuano a marciare sul crinale dei mercati discografici con passo deciso reiterando una proposta che in altri casi ha sancito lobsolescenza di band dallaltrettanta caratura artistica.
Ed allora perché cambiare una formula consolidata e vincente? Forse perché i trendsetter mutano continuamente e prima o poi le schitarrate riproposte in ogni album, prima o poi ti si ritorcono contro. Oppure lurgenza comunicativa dettata dalla maturità è tale che non si bada al mutamento repentino della forma. Potremmo parlare di tante ipotesi combinate a migliaia di formule ma la verità è una ed una soltanto: i Maximo Park hanno virato la rotta tirando talmente tanto il freno a mano da lasciare i pneumatici spalmati sullasfalto.
Too Much Information suona il de profundis delle Rickenbacker sfoderate nel video di Our Velocity, dei Marshall a quattro coni che propalano i riff tetragoni, delle cavalcate rock fatte di crash e sudore e delle psicosmorfie di Paul Smith. Insomma, quella che per dodici anni è stata la cifra stilistica imprescindibile oggi diventa materia (quasi) evanescente.
Ed è proprio nel punto di intersezione più rischioso, quello che cerca il sodalizio tra vecchio indie rock e nuove pulsioni electro wave, che i nostri hanno trovato nuova linfa artistica. Laddove i Bloc Party, tanto per citare una band a caso, sono capitolati tragicamente senza riuscire più a destarsi dallo stato letargico. Ecco, in quel preciso istante i Maximo Park hanno capito quale marcia ingranare per continuare a percorrere il loro personalissimo viaggio artistico senza troppi intoppi. Nascono così lavori come Leave This Island (singolo scelto come apripista) che punta la sua forza capacitante in un tappeto di synth che ammicca paurosamente alle armonie eteree di Enjoy the silence, o il down beat di Brain Cells che segna il passo per il nuovo Paul Smith, devoto ad un registro vocale mutaforma che trova i suoi principali riferimenti in John Foxx e negli Hurts.
Nel cambio repentino, oltre ai nuovi trip in direzione Foals e Maccabees, permangono comunque strascichi di un passato che fatica a tramontare. O meglio: più che le influenze pregresse riaffiora un certo attaccamento alle radici di appartenenza, una sorta di metal will never die in salsa brit. Ne sono esempi lampanti Lydia, the ink will never dry e Midnight on the hill in cui aleggia prepotente il fantasma dei The Smiths e tutto il retaggio della British old school. Mentre una menzione a parte va fatta per My bloody mind che fugge qualsiasi catalogazione standardizzata puntando su un input progressive fatto di incessanti tempi dispari.
Ebbene, Too much Information è questo. Un curioso nomen omen che funge da monito per tutti i conservatori della prima ora e svela urbi et orbi il futuro incerto della band per bocca dello stesso Paul Smith, quando nellultimo brano canta I dont know where were going accompagnato da un morbido arpeggio di chitarra. Neanche noi lo sappiamo caro Paul ma probabilmente ci piacerà.
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