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R Recensione

7/10

Morgan con la i

Blu

La scuola trasteverina ha partorito artisti importanti, da Francesco De Gregori ad Antonello Venditti, passando per Claudio Lolli, Rino Gaetano e Flavio Giurato: praticamente a Roma la musica è sempre partita dalla condivisione e ha sempre avuto un piglio politic(izzat)o. Medesima natura hanno avuto gli esordi del trio Fabi Silvestri Gazzè o dei Tiromancino, fino ad arrivare a Roberto Angelini & co., e a quella che appare come una rivelazione dell’indie romano. I Morgan con la i sono un collettivo di cinque ragazzi, figli della grande bellezza capitolina, ovvero di quella metropoli elegante e caciarona, sporca e neofascista, dove la ruffianeria e l’intrigo col potere la fanno da padroni. Il loro disco è il ritratto di questa Roma anche se i nostri utilizzano un linguaggio meno pretenzioso di Sorrentino, come direbbe Jep Gambardella.

I dodici pezzi di “Blu”, colore scelto a rappresentanza di «uno stato d’animo, un mare in cui il disco naviga» sono ascrivibili a quello che un tempo veniva definito pop d’autore. In cromoterapia il blu è considerato il colore della calma, della meditazione, della serenità, della pace; essendo il colore del cielo, sin dai tempi antichi veniva considerato un colore trascendentale, spirituale, oltre che un colore di protezione; ma la “personalità blu” deve stare attenta a non sfociare nel colore nero, il colore della depressione.

I pezzi belli bellissimi di questo full-lenght sono tanti e in quasi tutti il polistrumentismo del quintetto vien fuori con grande fragore. Chitarre, sax, bassi, batteria, vibrafono, archi e clarinetti: c’è uno sterminato armamentario di strumenti classici, senza mai ricorrere alle ritmiche elettroniche, oramai diffusissime in tutte le produzioni cantautorali.  Di “Blu” menziono “Anni ‘80”, il nostro decennio, “La melatonina”, canzone scelta per il lancio promozionale, “A metà strada”, struggente e delicatissima, “Erasmus”, altro segno dei tempi della succitata generazione, “My sweetest boy”, languida e lancinante. Un’ultima caratteristica va evidenziata nello stile compositivo dei Morgan con la i, quella del doppio cantato uomo/donna che, eccettuando senza riserva Jalisse e Ricchi & Poveri, è stato sdoganato in Italia dai Baustelle.

Insomma, il Folkstudio di Via Garibaldi non c’è più, rimpiazzato dal Circolo degli Artisti, da Villa Ada, dall’Angelo Mai; e mi rendo conto che il tutto può apparire maledettamente meno affascinante ma, in fondo, non lo era nemmeno uno scantinato di Trastevere negli anni Sessanta. L’importante è il risultato, e la certezza che Roma sappia ancora partorire artisti seri e propositivi. La buona musica dei Morgan con la i è dunque una squisita sorpresa in questa torbida e piovosa urbe del terzo  millennio.

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