R Recensione

6/10

Okkervil River

The Stand Ins

Appena un anno dopo l’acclamato “The Stage Names”, riecco gli Okkervil River, a riprendere il filo della loro scanzonata riflessione sulla vita degli artisti e di chi li accompagna. Appendice al disco precedente, questo “The Stand Ins”? Non proprio: la strada del supplemento Sheff e soci l’avevano già percorsa nel 2005 per completare il capitolo di “Black Sheep Boy”, ma qui il materiale è troppo per parlare di una raccolta di B-songs. Un disco autonomo? Neppure: la mano che nella copertina di “The Stage Names” si stagliava abnorme qui è l’unica parte dello scheletro sbronzo a essere nascosta alla vista. Complementarietà dichiarata. Dunque?

È giust’appunto la gestione manageriale di questa doppia uscita compatta ma scompattata che lascia un po’ perplessi e che macchia le ragioni d’essere del quinto disco della band texana. Non che sia un brutto lavoro (ma neanche tra i loro migliori), ma manca di novità e freschezza. Perché il filo del doppio concept-album si ingarbuglia eccessivamente; perché le tre brevi inserzioni strumentali che dettano la struttura del disco sono fin troppo insignificanti; perché gli otto pezzi che rimangono, divisi alla bell’e meglio in due gruppi di quattro con l’ultimo brano isolato in coda, sono pochini per reggere il peso di un disco intero; perché tutto è esattamente come ce lo si aspettava.

La continuità con “The Stage Names” è palese anche musicalmente: prevalgono i colori, i ritmi alti, le chitarre lanciate in scorribande country (“Sing Songwriter”), le irruzioni dei fiati (quasi orchestrali nella delicata “Starry Stairs”), i sostegni dei claps (nella sfavillante e un po’ New PornographersPop Lie”), il tutto con la lezione dei Neutral Milk Hotel dell’aeroplano sopra il mare sempre ben presente.

Le ballate, entrambe in crescendo, sono tenute in coda ai due quartetti: si tratta della ponderosa “Blue Tulip” e dell’appassionata e nostalgica “Bruce Wayne Campbell Interviewed On The Roof Of The Chelsea Hotel, 1979” (epica fin dal titolo), che costituisce uno splendido pendant con “John Allyn Smith Sails” sul destino degli artisti sfortunati (black sheep boys come lo Sheff di una volta). E continuo a ritenere che proprio quest’ultimo, nell’intero lotto di brani assommati tra i due dischi, rimanga il momento più ispirato. A insidiarlo, da “The Stand Ins”, ci può provare l’esuberante duetto Sheff-Meiburg di “Lost Coastlines”, nel quale l’ormai ex-Okkervil River e ora leader degli Shearwater integra a perfezione la voce sbilenca di Sheff modulando toni tra lo sdilinquito e il cavernoso, da autentico crooner sentimentale.

E insomma? Così così. E non conta che “Calling And Not Calling My Ex” sia scandita da una sequenza di note che rimanda, ohibò, alla Patty Pravo di “Ragazzo Triste”. Conta più che i temi, concettualmente interessanti, potevano essere sviluppati in un disco soltanto, senza alcune riprese tutto sommato poco stimolanti (e così in “Starry Stairs” torna la porno-star protagonista di “Savannah Smiles”). Conta che lo spezzatino non piace, oltre che nel calcio, anche nella musica, soprattutto se lascia il dubbio che la sua vera logica sia una doppia incursione nel portafoglio dell’ascoltatore. Conta che si cade in qualche autocitazione di troppo, non sempre voluta. Conta che agli zii del fiume Okkervil, tanto ci hanno viziato, chiediamo di più.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 5 voti.
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giank 6/10

C Commenti

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Dr.Paul (ha votato 6 questo disco) alle 13:42 del 17 settembre 2008 ha scritto:

in accordo su tutto, appena sufficiente!