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R Recensione

6/10

Other Lives

Mind The Gap EP

Thom Yorke, nelle date americane, ha espressamente voluto che aprissero i concerti dei suoi Radiohead. Così, in modo repentino, gli Other Lives hanno allargato prepotentemente il bacino di ascoltatori e aspettative. Bacino in verità già capiente e considerevole, riempito dal notevole esordio dell’album omonimo e soprattutto dal trascinante Tamer Animals (2011), costruito e cesellato nell’arco di sedici lunghi mesi, eccezionalmente denso, evocativo, filmico. Quella di essere “filmici” è dote rara e preziosa, che proietta o scaraventa mediante musica verso altri, lontani, incredibili habitat, in un viaggio spettacolare e memorabile. E’ dote propria del folk-rock degli Other Lives, impregnato di suggestioni, di note riflessive, di vaghe liriche metaforiche, allusive.

Nell’ep Mind The Gap questa capacità filmica è tuttavia svigorita, smorzata, rimpicciolita, frutto anche del risicato minutaggio dei soli quattro brani (tre inediti e un remix) e dell’inevitabile respiro più corto che non è quello tipico di un disco. E’ un ep che certamente procede nel solco già scavato (mai evadendo chiaramente dalle impronte oramai riconoscibili degli Other Lives), ma volentieri devia, saltuariamente, da questo stesso solco: vira, si apre a nuove strade, a singolari itinerari che la band americana potrebbe calcare nel nuovo album, incline alla sperimentazione, allo sbocco inaspettato verso l’elettronica.

Take us alive, nei violini virtuosi e nel piano cadenzato, rimanda ai loro lavori più recenti, in un’atmosfera lugubre e graffiante, con Jesse Tabish che non placa il ritornello esasperato, mentre il brano non riesce a trovare sembianze lineari, compiute. Dead Can è il pezzo più riuscito di Mind The Gap: ipnotico, dal respiro synth-dream, con un falsetto distante, con ondulazioni che ricordano quelle tipiche di Yorke. Il leader dei Radiohead, con i suoi Atoms for Peace, è presente nel remix di Tamer Animals, che ne esce peggiorata, chiusa e sgualcita in un vortice stancante di elettronica. Dust Bowl, infine, è un chiaro richiamo a Dust Bowl III, punta di diamante del disco precedente: effetti ambientali e violini raschiano l’aria dell’Oklahoma, in questa malinconica tempesta di sabbia a cui gli Other Lives provano ad opporsi. E spargere, domani, nuove trame, magari altre (migliori) vite. 

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