R Recensione

8/10

P.j. Harvey

White Chalk

Vi devo confessare una cosa:  PJ Harvey non mi è mai stata particolarmente simpatica. La consideravo un'artista tutt'altro che significativa, autrice di un paio di dischi appena sufficienti ("Dry" e "Rid Of Me") e di un'accozzaglia rimanente di mediocrità imbarazzanti e rimanevo sempre incredulo nel leggere esaltazioni e proclami epocali riguardo i suoi dischi.

Molto probabilmente il mio giudizio sulla signora Polly non è ancora mutato del tutto, ma certo è che dopo aver ascoltato questa sua ultima fatica dire che non mi aspettavo una sorpresa simile è poco. L'ultimo album della ragazza di Corscombe, infatti, è un autentico gioiello, uno di quei dischi che non smetteresti mai di levare dal piatto del lettore, e una di quelle opere musicali che rischiano di accompagnarti lungo l'intero corso della tua esistenza.

"White Chalk" è un album molto cupo e sofferto, ma particolarmente ispirato. Più che essere fatto di canzoni, esso è fatto di frammenti di canzoni, di bozzetti intimistici, di frammenti di vissuto, di stati mentali particolari, ognuno una sfaccettatura della personalità della cantante, che in quest'album tocca vertici inauditi di sofferenza e inquietudine, grazie ai quali si assiste contemporaneamente a picchi pessimistici e a barlumi di speranza, con un tocco di ricerca del soprannaturale.

Si parte subito fortissimo con "The Devil", la cui carica emotiva, tra il rassegnato e il disperato, lambisce già livelli di espressività altissimi. Strimpellate di chitarra acustica partcolarmente insistite costituiscono lo scarno arrangiamento, che avvolge una voce soffice e delicata, quasi catartica, sorta di deliquio passionale librantesi in uno sforzo metafisico che è il leit motiv di un pò tutto il lavoro. Verso la parte finale, la magnifica voce diventa disperata, aggressiva, quasi a cercare significati reconditi, mentre contorna il tutto un sottofondo di mandolino e intermezzo pianistico. "Dear Darkness" presenta un altro arrangiamento pianistico dolcissimo, con la voce ancora teneramente febbrile che sembra farsi strada nell'oscurità (più interiore che altro) citata. Una seconda voce maschile, calda e profonda, sottolinea la stasi pura del pezzo.

"Grow Grow Grow" è un insieme di toni che si fanno ancor più sofferti, con un effetto eco a sottolineare lo smarrimento totale e il vuoto esistenziale della protagonista Polly, mentre tocchi delicati di arpa rincorrono un piano dal suono "liquido". Nella parte centrale siamo chiaramente vicini a certo dream-pop di scuola This Mortal Coil e Cocteau Twins, puntellato da una voce accostabile ai picchi più trascendentali di Tim Buckley.  Con "When Under Ether" il piano si fa maestoso e l'atmosfera ancora più fumosa ed inquietante, al pari del tono vocale della nostra Polly, che si mantiene tra il confuso e l'angelico. Accanto a questo, la sezione ritmica si fa più intraprendente e accelerata, con percussioni e flauti marcati in sottofondo.

La title-track è con ogni probabilità la traccia più trasognata e allucinata, con ancora degli effetti eco originalissimi e un accompagnamento a base di banjo in stile Woody Guthrie e Pete Seeger. E' un brano in crescendo vocale e rumoristico, alienato da un' armonica che va a concludere la sezione centrale. Ma il culmine della crisi mistica deve ancora arrivare; è in "Broken Harp", infatti, che PJ pronuncia le fatidiche parole "Can You Forgive Me?" con insistenza: essa è una richiesta di perdono e sembra chiaramente rivolto ad un essere trascendente. Il brano ha l'aria di una confessione intima e sofferta, i rintocchi di arpa che seguono l'asperità della voce malata e rauca. Siamo davvero in prsenza dell'apice di smarrimento e perdizione?

No, perchè il "peggio" giunge con "The Plano", con quel "Oh God I Miss You" che riassume il tutto alla perfezione; non è solo una consapevolezza, è anche e soprattutto una richiesta di aiuto, accentuata dall'impianto di chiara matrice dark.

E' doveroso sottolineare che se la nostra cantautrice si fosse fermata a questi sette capolavori l'album sarebbe stato subito da eleggere come il migliore di quest'anno. Invece, purtroppo, la seconda parte risulta abbastanza ripetitiva e priva dell'ispirazione che ha caratterizzato la parte precedente, con la sensazione che la Harvey si sia leggermente "persa" nella ricerca di un climax perfetto. Così, la cosa migliore dell'ultima parte appare chiaramente l'ultimo lamento disperato di "The Mountain", estremo segnale di debolezza e di ricerca di risposte.

Così, va a chiudersi uno dei migliori album del 2007, io credo. Le grandi cantautrici del passato come Laura Nyro, Joni Mitchell e Rickie Lee Jones, senza ombra di dubbio, hanno più di un credito da riscuotere nei confronti di questo disco, in compagnia del neo-folk minimale e medioevaleggiante di Espers e soci. La sensazione è che, tuttavia, un album così intimo e sofferente è davvero difficile da trovare nel panorama delle possibili influenze.

Per questo "White Chalk" è un disco che merita di essere ascoltato con passione. Tanto di cappello, signora Polly!

V Voti

Voto degli utenti: 7,2/10 in media su 16 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
george 6/10
REBBY 7/10
Moon 6/10
target 7/10
hyper82 10/10
ROX 8/10
Rael70 8/10

C Commenti

Ci sono 13 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

Marco_Biasio (ha votato 7 questo disco) alle 19:45 del 12 novembre 2007 ha scritto:

Voto più che giusto

Da apprezzare questa svolta cantautorale. Ma io la preferisco rock, incazzata e con le palle cubiche.

target (ha votato 7 questo disco) alle 13:45 del 14 novembre 2007 ha scritto:

The ghost of pj harvey

Bel disco, molto abbozzato, schizzato, come dici tu, tipo carboncino in bianco e nero. Ma non va così in profondità come credevo. Broken Harp, The Piano e Before The Departure sulle altre.

simone coacci (ha votato 7 questo disco) alle 17:10 del 14 novembre 2007 ha scritto:

La mia amica PJ

PJ, musicalmente parlando, mi ricorda quelle amiche un po' stronze che te la fanno annusare tutta la vita senza dartela mai (ne abbiamo tutti conosciuti una, o più d'una). Perdonate la metafora fescennina, ma in fondo, in fondo è così. Qui si diverte coi pastelli a tratteggiare il suo ritratto di signora, con strumenti obsoleti (banjo, ukulele, clavincebalo), melismi educati, ballate pianistiche e qualche ben assestato residuo della ferocia adolescenziale. Non è molto ma è sufficiente a dare nuova linfa all'arido panorama dei suoi ultimi dischi, esangui e noiosi come pochi.

DonJunio (ha votato 6 questo disco) alle 17:10 del 14 novembre 2007 ha scritto:

You snake, you crawl between my legs...

dopo un album tosto e incazzato, quasi lo-fi , come "uh hu her" era preventivabnile un ritorno a certe cose più artefatte e pretenziose....non sempre la ciambella esce col buco però, in qualche frangente la salva soltanto la classe. "To bring you my love" però era un gran disco.

DonJunio (ha votato 6 questo disco) alle 17:14 del 14 novembre 2007 ha scritto:

bellissima metafora simone ahahah se sei ancora nel sito fai un salto in chat! ( il precedente non era malaccio, però, dai...)

simone coacci (ha votato 7 questo disco) alle 17:36 del 14 novembre 2007 ha scritto:

To bring you my love non lo ascolto da almeno 6 anni, ma per quello che mi ricordo, era una bomba, mi pare. Grazie Don, un saltino in chat lo farei volentieri di tanto in tanto, è che questo bastardo di portatile non me la carica. Ora o gli sparo, a questo stronzo, oppure desisto per il bene di tutti. Ci sentiamo, ciao bello. E ciao a tutti.

target (ha votato 7 questo disco) alle 13:01 del 15 novembre 2007 ha scritto:

To bring you my cunt

Quello sì, donju, che era un ben disco. Little fish, big fish, swimming in the water

Come back here, man, give me my daughter. Comunque c'è un termine tecnico per il concetto, ahimè molto noto, espresso da simone nel suo primo commento. Trattasi del toscanismo "rizzac***i". Pj, un po', lo è.

simone coacci (ha votato 7 questo disco) alle 22:42 del 15 novembre 2007 ha scritto:

C'mon Billy

Grande Target. Ci siamo capiti al volo. Ammicco, ammicco. . Poi c'era C'mon Billy, forte pure. Con la chitarra acustica e lei che guaiva che era una bellezza. Già, ora rimembro, bel disco quello.

ozzy(d) (ha votato 6 questo disco) alle 14:24 del 16 novembre 2007 ha scritto:

you leave me dry....

quoto in pieno il verso di "snake" citato dall'acuto da Donjunio in merito all'isterica PJ, alla quale però ho sempre preferito la "blowjob queen" Liz Phair. Sperando che il Dio dell'umorismo e MOnica Levinsky mi perdonino, trovo che nell'album in questione aleggi un po' di quella prosopopea che spesso ha inficiato la carriera di Polly. La preferisco nelle vesti di sanguigna rocker.

Moon (ha votato 6 questo disco) alle 14:11 del 17 novembre 2007 ha scritto:

mah, anche io preferisco la PJ incazzata! bellissima recensione.

george (ha votato 6 questo disco) alle 22:21 del 3 aprile 2009 ha scritto:

...

bello! Ma non mi sembra molto a suo agio...

Utente non più registrato alle 18:45 del 11 dicembre 2009 ha scritto:

Tristezza a palate, tristezza a palate, tristezza a palate! Per chiudere il disco manca un duetto solo con Mariottide il quale probabilmente impegnato in qualche concerto sula circumvallazione esterna milanese. Cmq, album carino ma bisogna essere dello stato d'animo giusto altrimenti...tristezza a palate!

ROX (ha votato 8 questo disco) alle 20:42 del 15 gennaio 2011 ha scritto:

un disco che ho consumato a furia di ascoltarlo... stupendo