Peace
Happy People
Lo dico subito, questo nuovo lavoro della band di Worcester, non piacerà a coloro che storcono il naso di fronte ai revivalismi, al manierismo ed alla nostalgia musicale. Perchè ascoltando Happy People non può che essere chiaro lintento di raggiungere la più perfetta compiutezza allinterno di un genere ben definito. E quindi, detrattori dellUnion Jack, statene alla larga (anche se non posso che sperare che questo disco possa rappresentare uneccezione).
Nellottica revivalista i Peace si piazzano in quello strano momento di cambio della guardia fra Madchester e Britpop, durante il quale le band del primo movimento, sopra tutte i Charlatans, indossarono la casacca del secondo dando vita a un ibrido qui perfettamente recuperato e revitalizzato. Convivono da un lato riferimenti più moderni e dallaltro un gusto per un pop retrò sui generis. La scelta palese del quartetto è stata fregarsene completamente della richiesta talvolta implicita degli ascoltatori indie di una difficoltà allascolto e puntare dritti al cuore della più scintillante materia pop, a rischio di risultare stucchevoli. Un rischio che è quasi del tutto evitato. Levigate quasi tutte le asperità dellesordio, Happy People resta un disco ricco di sfaccettature, più maturo e meno istintivo (per quanto una certa immaturità faccia parte della ragion dessere dei Peace) nella componente musicale.
Un po tallone dAchille per la loro semplicità talvolta ai limiti dellottusità, un po cavallo di battaglia per lincisività e la capacità di adattarsi perfettamente allo spirito delle canzoni, i testi restano ancora immaturi (ma, di nuovo, non potrebbe che essere così). Pur non essendo un concept album, è possibile rintracciare un filo conduttore nelle tematiche dei singoli pezzi, ovvero la felicità, quella altrui, talvolta finta, quella reputata irraggiungibile causa un certo disagio esistenziale e il sentirsi fuori posto (If were living in a mens world, Im a girl da Im A Girl). Nulla di cui preoccuparsi, comunque, il piglio è quello scanzonato e irriverente di sempre.
E difficile resistere ad una tale capacità di spargere ovunque riff, strofe e ritornelli che ti restano appiccicati e di creare anthem istantanei: Perfect Skin, neanche fra le cose migliori, con quel ritmo caracollante e le tastiere impertinenti che deflagra in un ritornello come lo potevano concepire i primi The Killers (e non rabbrividite), O You con quegli arrangiamenti swinging London che fanno capolino da una perfetta filastrocca british o World Pleasure una versione depurata dal soul degli Happy Mondays e arricchita invece di orchestrazioni maniera seconda metà dei 90 (per dire, gli archi a metà del pezzo, letteralmente strappati da Attack of the Grey Lantern).
Ancora più che in passato la sezione ritmica resta saldamente e dinamicamente devota al Madchester, basso pulsante e gran roteare di bacchette: sentire il singolo Im a Girl, una specie di sorella minore di Hey Dude dei Kula Shaker o Gen Strange che sarebbe stata benissimo in K o in Between 10th And 11th dei Charlatans.
La loro firma resta comunque sempre evidente, nel modo di cantare di Harry Koisser, nelle traiettorie intersecate delle sei corde, nelle melodie: la title-track non potrebbe che essere loro e rappresenta uno dei punti più alti. Lost On Me si lascia sedurre da tentazioni funky, coretti angelici, bassi pulsanti, al perfetto incontro fra gli Happy Mondays e lindie-dance di casa DFA. Per un altro basso dal tiro micidiale sentire "Money" e il suo intermezzo degno di Prince.
La produzione è stata nuovamente affidata a Jim Abbiss, uno che di pop se ne intende e che ne restituisce una freschissima, stratificata e ricca senza essere sovrabbondante. Cè invece da perdersi nelle stratificazioni fantasiose e negli incastri strumentali, nonostante i quali la pulizia sonora la fa da padrone.
Con Someday i nostri mettono il piede in fallo, spingendosi troppo oltre, in quello che suona come un plagio di Cast No Shadow dei beneamati Oasis, e non basta larrangiamento esoticheggiante sul finale a redimersi. Sapore esotico che, va detto, a partire dai primi singoli e poi con gli album si è sempre più affievolito, di pari passo con lallontanamento da certe logiche indie-rock anni 00 (il santino dei Foals è finito in fondo al cassetto).
Alla traccia numero 10, ovvero World Pleasure (fra i singoli estratti) in teoria termina la versione standard, ma che senso ha fermarsi a questo punto quando la versione deluxe ci offre ben altri otto brani? Praticamente un altro disco che contiene alcune soprese interessanti e alcuni fra i pezzi migliori (e ci si chiede perchè si sia scelta questa release particolare): Imaginary dalle tinte più malinconiche e vicine ai compagni Swim Deep e il piglio RnB di Blue, fra coretti efebici Mansuniani e lucicchii)
Viene dato libero a quel gusto retrò di cui si parlava prima; un tuffo nelle atmosfere psichedeliche 60s con Saturday Girl, nel sunshine pop di Love Me e in una ballata baciata da un ritornello particolarmente azzeccato come la conclusiva The Music Was To Blame.
Complice il minutaggio contenuto delle canzoni e la capacità di scrittura invidiabile dei fratelli Koisser lalbum scivola via che è una bellezza. Qual è il responso allora? Un disco forse appena sotto lesordio, ma (nonostante la corsa al ribasso scatenatasi) sicuramente un lavoro di punta del pop inglese per questo 2015.
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