R Recensione

7/10

Pj Harvey and John Parish

A Woman A Man Walked By

Luci. Buio. Bruciature di sigaretta. Titoli di testa. Un uomo e una donna. Che camminano insieme. Le mani si sfiorano, gli occhi s’incrociano e poi s’abbassano sorridenti. I passi si dipartono, la loro eco si perde per il mondo, ma solo per tornare, prima o poi, ad incontrarsi. Sentieri che scorrono paralleli fino al prossimo crocevia delle loro esistenze. Un uomo, una donna. Come in un vecchio film di Lelouch rifatto in chiave noir dal Michael Winterbottom di turno.

Flashback: P.J. e John si conoscono da quasi un quarto di secolo, dalla prima metà degli anni ottanta quando lui era il leader degli Automatic Dlamini e lei un’ adolescente precoce ed entusiasta che s’intrufolava sul palco durante le loro esibizioni brandendo un sax (il suo primo strumento), una chitarra o gracchiandone i cori.

Lo si capisce già dall’opener e singolo Black Hearted Love tiro indie anni 90, dimensione anthemica, quasi fm, un ritorno al futuro. Lo conferma, di filata, Sixteen, Fifteen, Fourteen, duetto per banjo e chitarra acustica, folk malato e spasmodico che rimanda al terzo Zeppelin e P.J. che sembra davvero contare gli anni al contrario per risalire fino alle più scatenate performance vocali della sua adolescenza.

Flashback:  Da allora ne è passato di tempo e la fama mondiale, quella che ti cambia dentro e ti fa scordare di chi sono gli amici veri, ha arriso, in varia misura, ad entrambi, ma non si sono mai persi di vista.

Nell’esplosiva title track Parish ricarica le batterie del di lei fregolismo vocale (recitato, gutturale, falsetto, screaming) in una sorta di abbacinante inno post-femminista alla mascolinizzazione che sciama fino alla chiusa electro-percussiva da kabuki psichedelico (denominata The Crow Knows Where All The Little Children Goes) e sugli stessi toni apocalittici si eleva il paleo-grunge tribale per farfisa e chitarra di Pigs Will Not.

Flashback: Nel ’95 lui produce uno dei dischi più famosi di lei “To Bring You My Love”; l’anno dopo lei presta la sua voce inimitabile ad un album interamente composto da lui e firmato da entrambi, il “weilliano” “Dance Hall At Louse Point”.

April e Passionless, Pointless fondono in modo suggestivo ed originale elettronica down tempo e dream folk con P.J. che mesmerizza la scena come una soprano strangolata nell’abbraccio d’un fantasma dell’opera.

Flashback: Ancora: due anni fa, quando la carriera di lei sembrava, musicalmente, ad un punto morto, lui, cavaliere, è accorso aiutandola a mettere in cornice quel fulgido e controverso “ritratto di signora” che è “White Chalk”.

E se l’autoharp di Leaving California (punteggiata di wurlitzer e riverberi di feedback) e The Soldiers rimanda alle atmosfere neo-vittoriane presenti nell’ultima fatica della cantautrice del Dorset, The Chair condensa in due minuti e mezzo, bassi dub, ritmiche kraut, ripartenze chitarristiche e ascensioni chiesastiche. Buio. Titoli di coda. Luce in sala.

Una delle migliori P.J. dai tempi di Stories Of The City, Stories Of The Sea. E un John, demiurgo inestimabile del rock alternativo, che di comune ha solo il nome. Una donna e un uomo. La coppia inossidabile, in odor di nozze d’argento, all’opera nell’ideale seguito di Dance Hall At Louse Point, non a caso intitolato A Woman A Man Walked By (anche se a dire il vero si tratterebbe d’un immaginario menage a trois completato da Flood, già con loro tredici anni fa).  

Un album intenso, diretto, salace. In confronto al primogenito: più centrato sull’impatto delle singole canzoni (che condensano in una forma canzone spartana spunti più futuribili, sintetici, elettronici, insieme ad elementi rock più classici, rootsy, distorsivi e muscolari) che sul climax teatrale del concept.

       

V Voti

Voto degli utenti: 7,4/10 in media su 16 voti.

C Commenti

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Dr.Paul alle 14:59 del 3 aprile 2009 ha scritto:

che faccio vado o non vado? vado o non vado?

george (ha votato 9 questo disco) alle 18:03 del 3 aprile 2009 ha scritto:

Olè...

Io lo trovo bellissimo....

Un ritorno in grande che non mi aspettavo!

fabfabfab (ha votato 8 questo disco) alle 20:14 del 3 aprile 2009 ha scritto:

Tutto vero: un ritorno in grande stile. Incredibile la molteciplità di registri vocali di Polly ....

target (ha votato 8 questo disco) alle 21:40 del 3 aprile 2009 ha scritto:

Molteplicità di registri vocali e anche di generi intersecati: qui dentro c'è veramente di tutto (per lo più a rovesciare, peraltro, la compattezza quasi monotematica - e bellissima - di "white chalk"). Discone di Polly. Col tempo questo donnino mi cresce.

ozzy(d) (ha votato 8 questo disco) alle 16:14 del 4 aprile 2009 ha scritto:

coacci for president

dopo il pallosissimo "white chalk" ( apprezzato perlopiu' dai fanatici del britpop, forse x la copertina in stile jane austen) torna la polly che piace a me....soprattuto la scrittura e' varia e ispirata come non accadeva da anni.

REBBY (ha votato 6 questo disco) alle 22:38 del 2 maggio 2009 ha scritto:

Due psicopatici, altrochè gnoccona. Li avete visti nelle foto in cui lui ha il cappello nero e

la camicia bianca e lei un vestitino nero? Da

prendere paura! Il disco, beh il disco mica è facile da commentare, fatelo voi. Inizia in

maniera rassicurante (bella forza la prima è una

"vecchia registrazione"), ma poi questi subito,

quasi in crescendo (e lei poi ...), sbiellano come

capre tibetane. Roba da non credere (eheh). Con

April si ritira un attimo il fiato, ma questi ritornano fuori come due cammelli. E noi di più che gli diamo retta. Ad un certo punto lei si mette addirittura ad abbaiare alla luna (eheh) Vabbè, dai rimetti il disco che lo riascoltiamo. Cosa dici? Si, si, davvero niente male (eeh).

Mr. Wave (ha votato 7 questo disco) alle 19:07 del 17 maggio 2009 ha scritto:

Ricetta musicale corposa, policroma e densa di valide intuizioni creative. Ottima l'accopiata Harvey&Parish, molto convincente la proposta. [voto: 7.5]

Utente non più registrato alle 18:47 del 11 dicembre 2009 ha scritto:

Un album che, boh. Non me lo spiego.