Pj Harvey and John Parish
A Woman A Man Walked By
Luci. Buio. Bruciature di sigaretta. Titoli di testa. Un uomo e una donna. Che camminano insieme. Le mani si sfiorano, gli occhi s’incrociano e poi s’abbassano sorridenti. I passi si dipartono, la loro eco si perde per il mondo, ma solo per tornare, prima o poi, ad incontrarsi. Sentieri che scorrono paralleli fino al prossimo crocevia delle loro esistenze. Un uomo, una donna. Come in un vecchio film di Lelouch rifatto in chiave noir dal Michael Winterbottom di turno.
Flashback: P.J. e John si conoscono da quasi un quarto di secolo, dalla prima metà degli anni ottanta quando lui era il leader degli Automatic Dlamini e lei un’ adolescente precoce ed entusiasta che s’intrufolava sul palco durante le loro esibizioni brandendo un sax (il suo primo strumento), una chitarra o gracchiandone i cori.
Lo si capisce già dall’opener e singolo Black Hearted Love tiro indie anni 90, dimensione anthemica, quasi fm, un ritorno al futuro. Lo conferma, di filata, Sixteen, Fifteen, Fourteen, duetto per banjo e chitarra acustica, folk malato e spasmodico che rimanda al terzo Zeppelin e P.J. che sembra davvero contare gli anni al contrario per risalire fino alle più scatenate performance vocali della sua adolescenza.
Flashback: Da allora ne è passato di tempo e la fama mondiale, quella che ti cambia dentro e ti fa scordare di chi sono gli amici veri, ha arriso, in varia misura, ad entrambi, ma non si sono mai persi di vista.
Nell’esplosiva title track Parish ricarica le batterie del di lei fregolismo vocale (recitato, gutturale, falsetto, screaming) in una sorta di abbacinante inno post-femminista alla mascolinizzazione che sciama fino alla chiusa electro-percussiva da kabuki psichedelico (denominata The Crow Knows Where All The Little Children Goes) e sugli stessi toni apocalittici si eleva il paleo-grunge tribale per farfisa e chitarra di Pigs Will Not.
Flashback: Nel ’95 lui produce uno dei dischi più famosi di lei “To Bring You My Love”; l’anno dopo lei presta la sua voce inimitabile ad un album interamente composto da lui e firmato da entrambi, il “weilliano” “Dance Hall At Louse Point”.
April e Passionless, Pointless fondono in modo suggestivo ed originale elettronica down tempo e dream folk con P.J. che mesmerizza la scena come una soprano strangolata nell’abbraccio d’un fantasma dell’opera.
Flashback: Ancora: due anni fa, quando la carriera di lei sembrava, musicalmente, ad un punto morto, lui, cavaliere, è accorso aiutandola a mettere in cornice quel fulgido e controverso “ritratto di signora” che è “White Chalk”.
E se l’autoharp di Leaving California (punteggiata di wurlitzer e riverberi di feedback) e The Soldiers rimanda alle atmosfere neo-vittoriane presenti nell’ultima fatica della cantautrice del Dorset, The Chair condensa in due minuti e mezzo, bassi dub, ritmiche kraut, ripartenze chitarristiche e ascensioni chiesastiche. Buio. Titoli di coda. Luce in sala.
Una delle migliori P.J. dai tempi di Stories Of The City, Stories Of The Sea. E un John, demiurgo inestimabile del rock alternativo, che di comune ha solo il nome. Una donna e un uomo. La coppia inossidabile, in odor di nozze d’argento, all’opera nell’ideale seguito di Dance Hall At Louse Point, non a caso intitolato A Woman A Man Walked By (anche se a dire il vero si tratterebbe d’un immaginario menage a trois completato da Flood, già con loro tredici anni fa).
Un album intenso, diretto, salace. In confronto al primogenito: più centrato sull’impatto delle singole canzoni (che condensano in una forma canzone spartana spunti più futuribili, sintetici, elettronici, insieme ad elementi rock più classici, rootsy, distorsivi e muscolari) che sul climax teatrale del concept.
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