Port O'Brien
All we Could do was Sing
Non direste mai che quest’album è conforme al solito cliché indie-folk. Oggigiorno di dischi così trascinanti è difficile trovarne. Una musica sanguigna ed estremamente sincera fatta con l’anima e soprattutto di idee. Un songwriting di tutto rispetto che lascia esterrefatti, composizioni convincenti dalla prima all’ultima canzone. Una scaletta che non sbaglia un colpo, infilando un filotto di potenziali singoli capace di rendere unico il prodotto nel suo genere (I woke up today, Pigeonhold, Stuck on a boat, Fisherman’s son, Close the lid).
Un disco tanto divertente quanto emozionante nato tra i freddi paesaggi dell’Alaska. I Port O’Brien si sono formati 5 anni fa dal duo folk Van Pierszalowski, chitarra e voce e Cambria Goodwin, banjo voce mandolino e tastiera, ma si presentano al grande pubblico con una formazione di quattro elementi e una sezione ritmica di notevole spessore, un gruppo di una maturità spiccata che promette notevoli soddisfazioni anche per il futuro.
Si va da un pezzo all’ Arcada Fire, I woke up today, una danza frenetica con tanto di cantato a squarciagola, riffoni di chitarra e percussioni martellanti, al folk-blues di Pigeonhold e alle sue improvvise accensioni elettriche. La pischedelia fuzzy di the Rooftop song accende i lunghi assoli seminati da chitarre impazzite, i dolci ondeggiamenti della voce ipnotica e ammaliante di Goodwin in Vino Veritas rilassano gli animi. Dai leggeri accenni armonici-percussivi di Don’t take my divise e di Alive for nothing si arriva alle chitarre pizzicate con voce bassa in Will you be there, fino alla cavalcata liberatoria di Close the Lid con schitarrate dilatate che sanciscono la riuscita di un album che sarà predestinato a un grosso riscontro di pubblico.
Un disco estremamente ambizioso che, se non si può dire riuscito al 100%, va annoverato tra le più interessanti uscite di questo 2008.
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