R Recensione

5/10

Portugal. The Man

Church mouth

La prima volta che ho sentito Water “you vultures!” sono rimasto molto spiazzato: sembrava di sentire gli odiosi Mars Volta in versione pop. Forse però i ragazzi dell’Alaska si erano fatti anche un’immersione in gruppi indie dall’attitudine sbilenca come Blonde Redhead, Architecture in Helsinki e Fiery Furnaces arrivando a un risultato decisamente particolare, a tratti comunque interessante. Nel complesso però il disco era troppo confuso e frammentario per riuscire a colpire nel segno.

Church mouth si mantiene sostanzialmente sugli stessi binari, anche se accentua la ricerca di una via più melodica e “popular” mantenendo però immutata la scelta di giocare in campo “alternativo”. I risultati si vedono in brani come Telling tellers tell me che pur mantenendo una forte propensione per un pop disturbato stile Sparks strizza l’occhio di fatto al grande pubblico con il piccolo tormentone del ritornello. In realtà a trionfare sono soprattutto i rimandi a degli immaginari Mars Volta innaffiati da un flacone di indie-rock. Stessa imprevedibilità, stessa schizofrenia sonora, stessa poliedricità. L’unica differenza è che invece di trovarci di fronte a suite psycho-jazz lunghe mezzora come ci hanno abituato Rodriguez e soci qui trionfa il formato canzone pop da tre (massimo quattro) minuti, in cui fondamentale diventa anche il riutilizzo di temi hard-rock rétro Zeppeliniani. 

Sarebbe riduttivo però tracciare unicamente questo filo conduttore per un disco più vario e complesso di quanto potrebbe sembrare a un primo ascolto. Church mouth non è infatti un disco facile e per assorbirne le varie sfumature necessita di svariati ascolti. Solo assimilatolo bene si noterà come in My mind il chitarrista John Gourley si travesta con una certa raffinatezza in Bernard Butler (Suede), oppure come Bellies are full ricordi l’hard-rock dei Wolfmother sfumato in ritmi più cadenzati. Uno dei brani migliori è sicuramente Sugar cinnamon: un elettrizzante intro di batteria accompagna l’ascoltatore all’interno di un’atmosfera da giungla esotica in cui il ritmo viene smontato e ricomposto a piacimento. Children parte con un motivetto alt-country desertico e evolve inaspettatamente verso un sofisticato hard-rock intellettuale (con, ancora,  netti rimandi ai Led Zeppelin). Si trova addirittura un’andatura funky (ma troppo spenta nei toni) nella conclusiva Sun brother.

Al di là di questi frammenti sparsi qua e là l’anima del disco rimane però strettamente imperniata sulla presenza più o meno consapevole dei Mars Volta. Sleeping sleepers sleep, Church mouth e Shade testimoniano che la struttura dei pezzi poggia spesso e volentieri sull’alternanza tra il cantato enfatico di Gourley (anima del gruppo) e sezioni strumentali in bilico tra psichedelia, rock e progressive. The bottom parte danzereccia ma termina nell’usuale incedere schizzato mentre Dawn e Oh lord, come vuole lo stile virtuoso dei Mars Volta, sembrano non portare da nessuna parte se non in un vizioso circolo infinito.

Pregi e difetti convivono in Church mouth. E in fondo è davvero un peccato che le mie opinioni sugli ultimi Mars Volta siano tra le peggiori possibili. Se così non fosse magari avrei apprezzato di più anche i Portugal. The Man

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