Scisma
Rosemary Plexiglas
Mi è accaduto spesso di arrivare troppo tardi per vivere qualcosa in prima persona. Ho scoperto Andrea Pazienza poco prima che morisse. Ho sentito nominare Jeff Buckley per la prima volta quando quel genietto si è gettato nel fiume. Ho ascoltato per la prima volta Club Privè una settimana prima che i Massimo Volume si sciogliessero. Se ci riflettessi su, mi verrebbero in mente altri esempi illuminanti, ma credo di aver reso l'idea.
Torno in Italia dopo lunga permanenza all'estero, curioso di sapere come sta andando la scena musicale di casa nostra. E' il periodo dei primi Coldplay, il primo anno del nuovo secolo. Dopo aver assassinato qualcuno che mi ha raccomandato i Lunapop, un amico di nuovo corso mi dice "ma tu devi assolutamente ascoltare gli Scisma". Il nome mi evoca qualcosa di apocalittico, una versione biliosa dei CSI, il rumore di bulloni grattuggiati. "Ma ora si sono sciolti", aggiunge lui con nonchalance, come se annunciare la morte di una band possa essere paragonabile a chiedere la mortadella dal salumiere.
Così, alla cieca, mi impossesso di Rosemary Plexiglas, e di queste facce da new wave che suonano qualcosa di indefinibile. Ritmi tesi, tirati, a volte sbilenchi, una voce femminile da portarsi a letto, onde di chitarre precise e mai preponderanti, attimi di pura perfezione (L'Equilibrio, Negligenza) e soluzioni mai scontate, in un amalgama di rabbia e distensione coeso e perfettamente realizzato. Altissimo è il livello dei testi, come del resto ci si può aspettare dal talento di Paolo Benvegnù, che dimostra da subito una vena creativa destinata a marcare il suo percorso fino ai giorni nostri.
Il lavoro di produzione di Manuel Agnelli, che si occupa di questo lavoro nel periodo precedente Hai Paura Del Buio, esprime gli stessi istinti melodici d'insieme e riesce a raggiungere un ottimo equilibrio tra i diversi elementi del gruppo.
Un lavoro imprescindibile per farsi un'idea della scena musicale indipendente del Belpaese negli anni '90. Ascoltate gente, ascoltate.
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