R Recensione

6/10

Sons and Daughters

This Gift

Nati da una costola degli Arab Strap (Adele Bethel era la corista mentre David Gow il batterista) gli scozzesi Sons and Daughters si sono fatti largo nel panorama indie-pop con una manciata di dischi (l’ep Love the cup del 2003 e l’lp Repulsion box del 2005) che partivano da un folk-rock alla Violent Femmes con qualche escursione punk e blues-noir alla Nick Cave (spesso e volentieri quello del periodo Birthday Party) mantenendo però ben salda l’attitudine pop generale, alla maniera degli Smog.

Attitudine pop che sembra uscire maggiormente impreziosita in This gift, in cui il gruppo sembra concentrarsi su un suono diretto e pungente che favorisca un ritmo ben disposto verso l’esperienza punk (Gilt complex, House in my head), rielaborando anche un certo garage-rock di stampo femminile e ‘90s (alla Sleater-Kinney insomma) ripulito però dall’asprezza low-fi.

Ne esce per l’appunto un disco lindo e curato, dalle melodie scattanti e ben rifinite (Goodbye service, Split lips), talvolta tendenti ad isterie pixiane sbilenche (The nest, The bell), talvolta a coretti e strofe fin troppo new rock per non infastidire (Rebel with the ghost, Flags). L’impressione è infatti che molto spesso le chitarre siano un pò buttate lì e non riescano a graffiare come dovrebbero, perdendosi in un mare di rock stereotipo (di cui This gift è la prova più evidente).

Basta però sentire l’accattivante e graziosa Chains o la molleggiata e suadente Iodine per capire che il gruppo non ha dimenticato i propri maestri Violent Femmes, magari appena mitigati dalla foga genuina dei primi Yeah yeah yeahs. Che l’influenza della new wave si senta molto lo si nota anche in Darling che prende in prestito un rock’n’roll roboante dell’Iggy Pop periodo The idiot.

I momenti buoni non mancano e tutto sommato l’ascolto è gradevole. I Sons and Daughters hanno tutto quello di cui c’è bisogno per piacere al grande pubblico (perchè no?). E allora cosa c’è che non va? C’è che si ha l’impressione di un gruppo buono all’eccesso, quasi buonista, non abbastanza punk, non abbastanza sporco. C’è l’impressione che le canzoni siano di plastica. Che la produzione sia eccessivamente levigata e che ogni cosa sia troppo maledettametne al suo posto. C’è l’impressione che i Sons and Daughters vogliano piacere a tutti i costi. E questo onestamente ne limita terribilmente il valore agli occhi del sottoscritto.

V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 2 voti.
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target 7/10

C Commenti

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GiudiceWoodcock (ha votato 7 questo disco) alle 16:45 del 27 febbraio 2008 ha scritto:

Pippo

proprio bello questo dischetto, era ora che cambiassero suono, i primi due erano delle copie

target (ha votato 7 questo disco) alle 9:54 del 2 marzo 2008 ha scritto:

Ink the hangman

Io lo promuovo. C’è del punk femminile, come dici tu, e dell’indie-rock alla The Long Blondes, con tinte sempre molto noir, tra il drammatico e il nostalgico. Tutto, comunque, molto british, e il tocco di Butler si sente. “Iodine” è davvero una piccola perla, e pezzi come “Gilt Complex” e “House In My Head” sono belle rasoiate. Gustoso. Sì, non sporco, non rozzo, ben confezionato, ma la plastica è lontana.

target (ha votato 7 questo disco) alle 9:55 del 2 marzo 2008 ha scritto:

voto

simone coacci (ha votato 5 questo disco) alle 18:16 del 2 marzo 2008 ha scritto:

Eppure qualcuno mi aveva parlato bene di questo di gruppo...se riesco a ricordarmi chi, cancello subito il suo numero dal cellulare