The Maccabees
Marks To Prove It
The Maccabees atto quarto. Dalle soffici valli di suono di Given To The Wild all'esibita urbanicità di questo nuovo lavoro, il primo registrato nel nuovo studio di proprietà della band, sito in Elephant & Castle, zona di South London oggetto di una recente (e ingente) riqualificazione. Non proprio un ritorno al passato indie-poppish di Colour It In né a quello più finemente orchestrato di Wall Of Arms, eppure tra i solchi c'è qualcosa di entrambi. Agevole notare come il qui presente Mark To Prove It resti, nonostante l'incidere generalmente più nervoso, disco notturno: pianoforte mai così presente, il crooning di Orlando Weeks a sedurre il giusto, un debole per ballate solenni ed oblique (Silence, Pioneering System) che piaiono ambientate nel paesaggio filmico di Locke, astratto replay di vita al neon che striscia sul parabrezza di un'auto in corsa. Il co-produttore Richard Hawley (ex Pulp) infonde lugubre decadenza (Slow Sun, il sax apocalittico di River Song), non smussa le asperità quando ritenute necessarie (gli spasmi chitarristici su base kraut della Title Track, primo singolo e primo vertice dell'opera), gestisce i crescendo con tale sapienza da lasciare a bocca aperta (la scala a chiocciola dai particolari quasi prog di Spit It Out, altro vertice dell'opera).
Tutto a posto quindi? Ni. Il problema sta in quella erraticità in sede di scrittura che ha, con diverse gradazioni, accompagnato da sempre la carriera della band londinese. Neppure Given To The Wild, a suo tempo salutato da chi scrive come benvenuto esempio anche di compattezza compositiva, può dirsene immune, avendo con gli ascolti rivelato le sue mancanze in quel frangente. Marks To Prove It conferma la regola: per una manciata di canzoni con tutti i crismi ci dobbiamo sorbire (troppi) momenti che, mi perdonino gli estimatori, scivolano via. E trattasi comunque di momenti raffinati, cesellati con cura, lontani dal respiro etereo del capitolo precedente e di conseguenza più corrosivi, sofferti. In questo caso trovo sia più salutare vedere il bicchiere mezzo pieno, ergo vi raccomando di godervi almeno i brani, quelli citati, che del nuovo album grossomodo settano mood e standard di qualità. Verrebbe quasi da auspicare la compilazione fatta come si deve di un best of, ma così si rischierebbe di sembrare fin troppo impopolari presso il pubblico rock.
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