The Mountain Goats
Heretic Pride
John Darnielle doveva morire.
Fosse morto sarebbe diventato un mito, uno di quelli che affianchi a John Lennon e Kurt Cobain o quantomeno a poeti di culto minore come Nick Drake e Jeff Buckley. Si fosse sparato dopo Full Force Goats (1997) o giù di lì probabilmente sarebbe uno dei tanti santi del rock e la sua opera sarebbe sparsa ai quattro venti come una preziosa reliqua da diffondere all’umanità. E invece è vivo e vegeto, e continua a godersi il sole della California sfornando dischi straordinari con un ritmo di produzione industriale degno del miglior Stakanov. John Darnielle è allora solo uno dei tanti uomini di talento che non vengono minimamente filati dal pubblico, dal successo, e dai media. Rimane agli occhi di pochi appassionati un’icona di culto del calibro di Daniel Johnston, un altro che ha scatoloni piene di vecchie cassette autoprodotte che oggi pochi appassionati cercano disperatamente.
Tra lp, ep e cassettine ne vengono fuori in quindici anni una quindicina di dischi (uno più uno meno) spazianti tra folk, rock, pop e low-fi, il tutto rigorosamente restando in ambito alternative, in un campo immaginario tracciato tra Rem, Syd Barrett e un certo songwriting americano classico. Una discografia sterminata quella di John Darnielle, leader dei Mountain Goats, che negli anni difficilmente ha realizzato un album brutto, offrendo piccoli gioiellini come Zopilote machine (1994), Sweden (1995), Tallahassee (2003), e che continua a stuzzicare tutt’oggi il palato con i deliziosi The sunset tree (2005) e Get lonely (2006), osannati un pò da tutta la critica.
Heretic pride è un altro scalino, un’altra piccola perla da aggiungere a una sublime collana. E lo si capisce subito, fin dall’opener Sax Rhomer #1, assieme a In the craters of the moon e Heretic pride un robusto ma spigliato pop-rock degno della miglior tradizione Neutral Milk Hotel-Shins. È una ricetta semplice: una voce appassionata e un pò nervosa, una chitarra essenziale e una serie di arrangiamenti vari, dagli archi soffusi sfoggiati un pò dappertutto (nel soffice pop di San Bernardino come nel pop raffinato ed energico di How to embrace a swamp creature) alla batteria piena di verve di Jon Wurster, ex Superchunk(particolarmente in forma nella roboanteMichael Myers resplendent e nella scattante Lovecraft in Brooklyn).
Niente di innovativo, niente di lisergico, solo il solito disco ben fatto dei Mountain Goats, in grado di svariare con grande maestria tra pop (che sia il senso di maturità di Autoclave, il romanticismo raffinato di New zion o la reggaeggiante Sept 15th 1983) e folk (il bozzetto Tianchi lake, l’essenzialità alla Iron and Wine di So desperate, il tono tragico alla Damien Rice di Marduk t-shirt men's room incident). E chi se ne frega allora se ad un ascolto distratto i dischi dei Mountain Goats sembrano tutti uguali. Anzi...ci farei la firma per avere musica di tal fattura per altri quindici anni.
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