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R Recensione

7,5/10

The National

Sleep Well Beast

È un disco in discontinuità rispetto agli ultimi lavori in studio dei National, “Sleep Well Beast”. Scavato nei crepuscoli, e in cupe notti; sperimentato nel processo compositivo, più che sperimentale. A volte è sconsolato, altre inquieto; altre ancora anestetizzato. Dal 2007 ad oggi, di certo, il meno familiare.

Parla di abbandoni potenziali, di rese momentanee (in immagini domestiche, metropolitane, sfatte), di malinconie che sempre trascinano nel ripiegamento (<<I really don’t have the courage not to / turn the volume up inside my / ears for years I / used to put my / head inside the speakers in / the hallway when you’d / get too high and / talk forever>>, “Day I Die”). E in una crisi (con se stessi, nella coppia), tanto profonda quanto incomunicabile nel contemporaneo - << I cannot explain it / in any other / any other way>>, nell'abstract portrait of a weird time we’re in "The System Only Dreams In Total Darkness")

Parla, così, di sfiancante resistenza dentro la relazione (i testi scritti da Berninger insieme alla moglie, Carin Besser), alla vita; nell'incapacità di incidere sul proprio destino ("Nothing I change / changes anything", da "Way It Back"), la forza per farcela la si trova solo a patto di mettere a riposo, ogni tanto, la propria bestia. I propri demoni.

A volte ha degli strappi (i solo, tra cui uno in “The System Only Dreams in Total Darkness” - stridente e melodico, ricorda il suono del primo Buke & Gase prodotto dai Dessner; i lamenti post punk fuori tempo massimo di “Turtleneck” - brano distante dai National ma che, per formazione, è da sempre nelle corde di Berninger; la coda di “I’m Still Destroy You”), “Sleep Well Beast”; anche rabbiosi, di una rabbia repressa a lungo (mandando in vacca ogni cosa, in un moto di insofferenza fulminante, “Day I Die”: <<I’m exactly like you Valentine [il Val Jester di “Alligator”] / Just come outside and leave with me>>”). Però non risiede in questi episodi il nucleo del disco. 

Resistere: quando si è padri (<<became a father when I was still a son>>), si invecchia (<<all the most important people in New York / are nineteen>> cantava Berninger nel 2005) e, in parallelo, le illusioni e i desideri di ieri lasciano il passo, sempre più, alla realtà. Quella cruda. 

Invecchiare: e però maturare un suono mai così influenzato dalle recenti collaborazioni che i cinque di Cincinnati stanno portando avanti dal post “Trouble Will Find Me” (2013). Da una parte, la stratificazione lineare dei suoni richiama le composizioni che giusto due anni fa caratterizzavano il lavoro di Berninger e Knopf (EL VY, “Return To the Moon”); sul versante ritmico, i pattern assettati su motorik (anche via beats: v. “I’ll Still Destroy You”) manifestano l'ossessione dei Devendorf per il kraut e che, anche grazie al recente progetto LNZNDRF (con Lanz, 2016), in “Sleep Well Beast” predominano; sul fondale, un planetarium di textures ricamate di elettronica – il progetto di Bryce Dessner insieme a Sufjan Stevens, James McAlister e Nico Muhly, la colonna sonora di “Revenant” dello stesso Bryce nelle vesti di compositore, così come gli eventi elettronici di Berlino dei "gemelli" insieme a Matt Berninger. Elettronica, non più dosata dalla band ma invero elemento, quando non di spicco (“Way It Back”; la prima parte di “I’ll Still Destroy You”, di spettri e frammenti IDM, con la sua coda serrata altezza “The Boxer”/"High Violet" e dall’avvolgente fascino live), in ogni solco.

Per queste ragioni il lavoro suona e ha un’estetica che spiazza se rapportata agli arrangiamenti ambiziosi e all’orchestralità anche epica dei due album precedenti. In sostanza, come ha dichiarato Aaron Dessner a NME, il sound di SWB è “meno ordinato e curato; però risulta in qualche modo più chiaro”.

Invecchiare, si diceva. Esattamente come il baritono di Matt Berninger, mai così a fondo (vd. il parlato tra Leonard Cohen e synth pop di “Way It Back”, o il trascinarsi di “Nobody Else Will Be There” e “Sleep Well Beast”) a catturare il bello e lo schifo della propria esistenza e del mondo che lo circonda - "non siamo una rock band: siamo degli aspirapolvere". Solito, però, è il lavoro di scavo delle linee vocali in funzione dell’espressività (il crooning) e della narrazione; difatti, Berlinger, si prende cura uno ad uno dei versi, magistrale artigianato, ma con un’impostazione assettata ancor più giù. Inabissata, specie quando il cantato si anestetizza (la kidaiana "Sleep Well Beast", su tutte).

Le piano ballad (sad songs sporcate di elettronica minima, corrose, ora dolci ora distorte) sono le linee guida di "Sleep Well Beast"; appunto, il cuore pulsante. “Nobody Else Will Be There” (opener insonne da shock istantaneo: beats fratturati, linea al chiar di luna inseguita da un cantato che si trascina), il loop IDM dal crooning distorto di “Sleep Well Beast” (<<I’ll see you at the end of the party with your wild white eyes / filling up a teacup with gin in your secret postcard life>>), l'Io nei ricordi e cheeveriano di “Carin In The Liquor Store”, “Guilty Party” (detriti glitch, piano di tagli, oscillazioni laceranti), “Born To Beg” (la tristezza del theme annacquata nell'apatia, e sguardo oltre), “Empire Line” (la sua sottile ma maestosa orchestralità) sono gli apici di un disco maturo e travagliato allo stesso tempo. Audace nella forma, "Sleep Well Beast" mostra una rinnovata ma sempre intensa capacità da parte dei National di contatto e di resa esistenziale, attraverso un dramma di decadenza contemporanea che, partendo dal proprio Io ingabbiato, minore e in costante dannazione, tende al gesto e al senso assoluto. 

I’ll still destroy you someday. Sleep well, beast.

 

 

V Voti

Voto degli utenti: 7,4/10 in media su 7 voti.
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zebra 8/10
PinkMoon 7,5/10

C Commenti

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FrancescoB (ha votato 7,5 questo disco) alle 8:10 del 23 settembre 2017 ha scritto:

Sottoscrivo ogni parola: lavoro stupefacente sin dal primo impatto e ciononostante capace di crescere con gli ascolti. Condivisibili tutti i riferimenti della splendida recensione di Mauro. "The System Only Dreams in Darkness" finisce diritta nella cerchia dei brani irrinunciabili di Berninger e soci, per quanto mi riguarda. Anche il ritornello easy e impeccabile di "Day I Die" è una gemma. Fra i lavori rock più interessanti dell'anno.

benoitbrisefer (ha votato 8 questo disco) alle 15:02 del 23 settembre 2017 ha scritto:

Recensione davvero acuta che coglie splendidamente l'essenza di quest'ultimo lavoro dei National: opera non facile ma di

una profondità inconsueta e che cresce ascolto dopo ascolto. Fra le più belle cose che questo 2017 ci abbia regalato

Andrea tweedy (ha votato 9 questo disco) alle 0:46 del 12 novembre 2017 ha scritto:

A mio avviso il migliore della band di cincinnati, finalmente riuscita a creare quello che potrà essere considerato il loro capolavoro insieme a "boxer"

alekk alle 16:57 del 3 gennaio 2018 ha scritto:

Che piacevole sorpresa! Dopo Trouble will find me credevo che i National fossero sulla china discendente della loro carriera, cosa peraltro più che comprensibile visti i grandi precedenti. Invece sfornano un gioiello! Dopo una partenza normale "The system" fa tremare i polsi. Uno dei vertici assoluti della loro discografia. E da lì piazzano una serie di pezzoni, da Turtleneck a Empire Line, i still destroy you che naviga un vibrante sound elettronico a Guilty Party. Avere dopo tanti anni il coraggio di reinventare il proprio sound e farlo così graziatamente è da grandissimi. Questo potrebbe essere considerato il loro "Yankee Hotel Foxtrot" o Kid A/Amnesiac