V Video

R Recensione

7,5/10

The National

Trouble Will Find Me

Nel 2013 i demoni dei National potrebbero sembrare mutati; ma, in fondo, sono gli stessi di ieri. Si materializzano, ombre imponenti, ancora, uguale pervasività. Demoni (oggetti, in senso psicodinamico), turbamenti esistenziali, raccontati con realismo urbano dal filtro solipsistico e sentimentale; quello di un medium size american heart in abito completo, dal volto baritonale. Ad ispirare gli arrangiamenti dei gemelli Dessner, i groove e le parti ritmiche dei Devendorf; scalfendo il tratto cupo (<<è il nostro disco più divertente>>... come no) di “Trouble Will Find Me”.

Del gruppo di Cincinnati, così come per i più grandi, si può dire che suonino sempre (certamente da “Sad Songs for Dirty Lovers”), nel bene (specie) e nel male, riconoscibili (ma la consapevolezza della loro identità, per voce di Berninger, giungerà ad "High Violet" ultimato), unici; che suonino, senza dare troppo peso alle aspettative degli estimatori (anche in questa occasione, esponenziali) e dei detrattori, le loro personalissime e ‘pretentious bullshit’ (cit.). Ad ogni modo, dalle tinte melanconiche, e dalle trame omogenee (le texture) sovente maestose del precedente lavoro, in questo sesto disco (<<The biggest thing we talked about with this record was to get rid of the 'fog' of High Violet>> Aaron Dessner su altmusic.com) in studio emergono alcune differenze (col passato, entro il disco), fin dal primo ascolto, evidenti.

In primis, di forma: quella di Berninger, e della sua voce ora maggiormente educata, controllata; con isterismi (nuove “Mr. November” non sono più possibili, ovviamente) per lo più normalizzati (con sporadici scatti nevrotici: su tutti, il finale di “Sea of Love”), linee nitide (ancor più in crescita rispetto alle già notevoli d H.V.); interpretazione, lungo il disco, impeccabile la sua – non un reale complimento, una certa quota di fascino lasciata per strada è tangibile: spicca, in certi casi un po’ troppo morbida e limpida, tra arrangiamenti stratificati, o in (apparentemente) spoglie sad/torch songs (o meglio fun songs about death: a detta del frontman, filo conduttore nelle tematiche del disco).

C’è poi, qui, un’eterogeneità di stili e idee notevoli (e una nutrita schiera di amici-collaboratori ad affacciarsi, in punta di piedi: tra gli altri, Sufjan Stevens, St. VincentSharon Van Etten, Richard Lee PerryThomas Bartlett dei Doveman), ed una scaletta suddivisa idealmente in una prima parte più energica (immediate and visceral), rock (con l’apice “Sea of Love”) ed una seconda maggiormente  intima ("Hard to Find", "Humiliation", "Slipped", "I Need My Girl"), anche piano driven - l'eccelsa Pink Rabbits" (You didn't see me I was falling apart/ I was a television version of a person with a broken heart): ma nulla tocca, probabilmente toccherà le vette di eccellenza di una, per dire, “Fake Empire”). Nel raccoglimento e nel sentimentalismo più nostalgico ("I Need My Girl", "Slipped"), con uno stile meno cerebrale e calcolato (il confronto va sempre ad "High Violet"), i National sembrano d'altro canto tendere ad opere dal tratto grandioso, soprattutto decadente. E la gestalt, al netto, appare ancor più pop. 

Almeno un brano, “Heavenfaced” (soluzione conclusiva di synth: altra importante, benché non proprio centrale nell'economia del disco, pseudo novità), molto semplicemente annoia; un altro paio, “This is the Last Time” (di ritmica sincopata, a sostenere un motivo piuttosto lineare) e “Hard to Find” (l'assenza, o meglio il ruolo davvero minimo di Bryan Devendorf appare forte perdita temperamentale; unica nota d'interesse, la linea vocale, splendida, pescata da Berninger) funzionano a strappi, vagheggiano in un anonimato difficilmente collocabile entro la rappresentazione del sound National. Nel mezzo, tante cose buone, non sempre compatte: “Slipped” (nel suo proiettarsi, accorato e assorto, in funzione dell'esaltazione del cantato); “Humiliation” (già "Sullivan": motorik su sfondo dreamy-ambientale; dalla chitarra, oltre la metà del brano, uno stile Greenwood riconoscibile); l’intarsio di “Fireproof”, intrecciato al piano, e ad una elettrica contrappunto sulle ombre sentimentali di Berninger (You a needle in the hay/ You're the water at the door/You're a million miles away/ Doesn't matter anymore); la frammentazione (la chitarra), i giochi di vuoti e stratificazione sottilmente epica di una “Need My Girl” (I'm under the gun again/I know I was a 45 percenter then/I know I was a lot of things) su cui i nostri sembrano aver puntato da tempo

Di continuità (per lo meno) qualitativa dobbiamo ancora parlare (la prima parte ne è dimostrazione piena): ché i National sappiano, come ieri, scrivere brani eccellenti è fatto incontestabile - solo il tempo, la sensazione per alcuni di questi c’è, dirà se in capolavori potranno sbocciare.

Il disco prende il via dalle istantanee di raffinata disperazione (la dedica, pare, al fratello - il regista Tom Berninger) di “I Should Live in Salt” (già “Lola”): empatie che dovrebbero dirsi scontate (Don't make me read your mind/ You should known me better than this) e momenti di un rapporto (ripreso in un documentario, “Mistaken for Strangers", in concorso al Tribecca Film Festival di quest’anno) sovente altalenante. I should live in salt for leaving you behind, più o meno, volontà di ricongiungersi ed espiare masochisticamente, ai limiti del dolore fisico, sensi di colpa del passato. Ma, a prescindere: da una chitarra acustica pulita prende piede un’oscillazione nei tormenti di Berninger (splendida la sovrapposizione tra batteria e linea vocale, nelle strofe); con trasporto estremo si giunge ad un affondo (epica indie rock) tagliente e celestiale insieme.

 “Demons” (I do my crying underwater/ I can’t get down any further/ All my drowning friends can see/ Now there is no running from it/ it's become the crux of me/ I wish that I could rise above it/ But I stay down with my demons: splendido), primo singolo rilasciato, gira attorno ad un baritono anedonico, quasi parlato, che si rianima solo nell'ultima parte; maestoso lo stacco conclusivo, per intensità – tanto quanto “Looking for Astronauts” lo era in “Alligator”. “Don’t Swallow the Cap” (I have only two emotions/ Careful fear and dead devotion/ I can't get the balance right), monito bizzarro e sinistro (Tennessee Williams, ricorsivo nelle tematiche dei National: scoprite da soli il perché), è introdotta, su uno schema ritmico catartico, da trame fluttuanti e da uno splendido raddoppio vocale (l’uno rauco, demoniaco; l’altro emotivo) - poggiato su un'insistente nota di piano, materializzata in senso melodico nei ritornelli e in coda. 

In un "Trouble Will Find Me" in cui il sacrificio della batteria è servito ai National per donare un taglio estetico ad un paio di episodi ("Hard to Find", "Slipped"), Devendorf si concede comunque momenti di istintività (certo non è assente, in blocco, nel precedente disco: "Anyone's Ghost", "Bloodbuzz Ohio"; lo stesso Aaron Dessner riferisce, però, di come Bryan abbia avuto carta bianca sulle parti di batteria - ciò non è avvenuto, per tempistica e pressione da parte del gruppo, nel precedente “High Violet”) sì contenuta, benché canalizzata in dinamiche ammalianti. Prova ne sono, ad esempio, "Graceless", "Don't Swallow the Cap"), così come il nuovo singolo “Sea of Love” (nel video, si omaggiano in ogni dettaglio scenico i moscoviti Zvuki Mu), quest'ultima dalle nevrosi a più strati - nel riff (filtrato, pesante ma diretto); nelle traiettorie dapprima rigide (le strofe) e poi sregolate (i refrain) della batteria, esaltate nella rabbia (finalmente), in coda, da Berninger (I See you rushing now, tell me how to reach you/ What did Harvard teach you).

Graceless” (già “Prime”: Put the flowers you find in a vase/ If you're dead in the mind it'll brighten the place), attacco (new) wave (il lavoro al basso di Scott Devendorf, mai così esposto) dal buon piglio melodico, applicata, nelle nevrosi di Berninger (Don't have the sunny side to face this/ I am invisible and weightless/ You can't imagine how I hate this/ Graceless), ad una dinamica ritmica di boxeriana memoria; "Pink Rabbits", ciclicità strascicata, spicca, lo si è già detto, nell'ultima parte del disco - contenendo implicitamente in sé, inoltre, un'idea di ballata tutto sommato deviante dal percorso artistico dei nostri.

Concludendo, "Trouble Will Find Me" potrà rivelarsi una delusione, immagino cocente, soprattutto per quanti, questa transizione, la vivono come completamento di un percorso di denaturazione dello stile National - non trovando, specie qui, la stessa quota di compattezza, omogeneità stilistica di capolavori quali "The Boxer" e (in misura non molto minore) "Alligator" . Potrà esaltare, ci si aspetta, chi i National li ha conosciuti a partire da "High Violet" - o quanto meno, coloro i quali, via quest'ultima release, percepiranno un'evoluzione (ma in continuità qualitativa - pur nelle sostanziali divergenze, concettuali e di stili) dal precedente disco.

Tra episodi davvero ispirati ("Don't Swallow the Cap", "Demons", "Graceless", "Pink Rabbits", "I Should Live in Salt", "Sea of Love") e altri precari, chi scrive si sbilancia un po' col voto, benché si posizioni idealmente, consapevole, tra i due estremi.

V Voti

Voto degli utenti: 7,1/10 in media su 27 voti.
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max997 8/10
creep 8/10
mavri 7/10
target 6/10
cedrata 7,5/10
salvatore 6,5/10
Dr.Paul 6,5/10
REBBY 9,5/10
antobomba 6,5/10
zebra 7,5/10

C Commenti

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nebraska82 (ha votato 5,5 questo disco) alle 20:15 del 16 maggio 2013 ha scritto:

a me francamente non è piaciuto, mi sembra un po' troppo appiattito sui dischi precedenti ( e già "high violet" era meno ispirato del solito). mi sembra che ormai la loro aspirazione sia tirare a campare con un indie folk insipido e senza troppi guzzi. in generale credo che per molti dei nomi cardine dell'indie rock anni zero ci sia una notevole crisi di identità.

bill_carson alle 21:36 del 16 maggio 2013 ha scritto:

rece stringata.

precogcris (ha votato 6,5 questo disco) alle 19:39 del 19 maggio 2013 ha scritto:

Un buon disco, ovviamente, di qualità superiore ma che non si discosta dai lavori precedenti. Speravo in qualche nuova idea.

Lezabeth Scott alle 19:13 del 20 maggio 2013 ha scritto:

Ci stiamo girando intorno, dai, diciamolo: raccolgono i frutti (maturati in passato) ma sono un po' alla frutta. Però sono stati davvero grandi.

Fertuffo alle 11:48 del 23 maggio 2013 ha scritto:

Bel disco in stile National. Anche se non raggiungeranno più le vette di "Boxer"

NathanAdler77 (ha votato 7 questo disco) alle 21:46 del 5 giugno 2013 ha scritto:

Hanno raggiunto una tale maturità e perfezione formale che, se non fosse supportata da un songwriting mediamente buono, potrebbe benissimo finire dalle parti del più ingessato esercizio di stile. Poi ascolti in loop le loro piccole mirabilie di post-wave da camera (cito a caso l'incedere pop-motorik di "Don't Swallow The Cap", "Graceless" o il notevole trittico finale) e ti accorgi che melodie del genere oggi sanno scriverle in pochi, tanto suonano maledettamente classiche e "sincere". La chitarra di Bryce Dessner forse è un po' a margine del mosaico sonoro, ma è un dettaglio in una produzione più elegantemente sfumata, meno istintiva del precedente "High Violet".

target (ha votato 6 questo disco) alle 20:26 del 11 giugno 2013 ha scritto:

Mah, Mauro, stavolta non siamo granché d'accordo. Li ho trovati ingessati e a tratti stanchi. Con un Berninger meno ispirato, che cerca di mettere pezze con un po' di logorrea, sia nel contesto del singolo pezzo sia in quello del disco (a cui un'asciaguatura avrebbe giovato). Un album onesto, con alcuni bei momenti ("Graceless" su tutti) ma nessuno davvero memorabile. In sintesi, sto con Lezabeth.

REBBY (ha votato 9,5 questo disco) alle 18:52 del 15 giugno 2013 ha scritto:

Mah! Basta un ascolto hi-fi fatto con attenzione per sentire un'evoluzione notevole sia a livello strumentale (e non tanto, o non solo, per l'ottimo contributo di Sufjan Stevens al synth/drum macchine), sia soprattutto a livello vocale (sarà come dice qualcuno per merito dell'abbandono del vizio del fumo, ma io credo anche di un voglia di migliorarsi continua da parte del cantante). Forse solo il batterista (peraltro a mio giudizio formidabile) ripropone "sequenze" già note, ma di certo questo album non è una copia carbone di altri precedenti. Sono immediatamente riconoscibili, hanno un loro stile, ma sino ad ora non si sono mai appiattiti su una formula vincente (tranne, come già detto, il batterista). Possono piacere o meno, può piacere un disco più di un'altro, ma non rendersi conto del loro percorso io credo possa voler dire o un ascolto distratto o prevenuto.

NB ogni riferimento ad interventi precedenti e futuri e' puramente casuale eheh

cedrata (ha votato 7,5 questo disco) alle 14:41 del 21 giugno 2013 ha scritto:

Berninger secondo me mai prima d'ora con questa consapevolezza. E' vero, scordiamoci la freschezza, il nervosismo e l'energia dei lavori precedenti ma santodio sono in giro da 14 anni e da qualche parte "altra" andranno no? E quindi 1) gran bella recensione, brau 2) disco di una tacca inferiore ai magnifici tre precedenti e - incredibile - due tre pezzi che avrei tranquillamente lasciato fuori dal CD (prima e ultima traccia su tutte). Per il resto, perchè cè il resto, la prova del fuoco sarà il prossimo lavoro imho. O, come dice qualcuno sarà la stanchezza a trionfare oppure anche no e le cose molto interessanti di Pink Rabbits e di Humilation ci porteranno appunto altrove. National vivi e vegeti quindi, conto i giorni dal concerto del primo luglio.

Marco_Biasio (ha votato 6,5 questo disco) alle 15:40 del 21 giugno 2013 ha scritto:

Mi pare un disco molto più fiacco e "piatto" rispetto a Boxer e High Violet. Ma sono ancora ai primi ascolti e non azzardo giudizi frettolosi. Di sicuro la seconda parte mangia in un boccone la prima (davvero poca roba, per ora). Enciclopedico Mauro!

FrancescoB (ha votato 7 questo disco) alle 17:00 del 14 luglio 2013 ha scritto:

Contro ogni previsione, il disco mi è piaciuto molto.

Marco_Biasio (ha votato 6,5 questo disco) alle 13:41 del 21 luglio 2013 ha scritto:

La situazione non è nera come l'avevo in un primo momento prevista. Certo è che, comunque, un'impressione rimane confermata: la seconda metà stacca la prima, e di parecchio anche. Graceless, Humiliation e Hard To Find le mie preferite. Concordo quando si dice che si tratta comunque di un disco minore (sia rispetto a High Violet, sia rispetto a Boxer), e soffro per la mancanza del tocco tecnico di Devendorf in parte dei brani della scaletta.

andy petretti (ha votato 8 questo disco) alle 2:36 del 2 agosto 2013 ha scritto:

Io trovo che sia un gran passo avanti rispetto a High Violet. E' chiaro che a volte ci si trova davanti ad esercizi di stile, un pò come fecero gli U2 con The Joshua Tree, che era la seconda parte di An Unforgettable Fire. Non mi pare che qualcuno abbia avuto da ridire allora. Questo per me è un album che si affianca a Boxer e lo completa. Pezzi come Don't swallow the cap, This is the last time (testo imprescindibile, un'immagine di impotente self destruction che ogni relazione contrastata dovrebbe avere come colonna sonora), o il capolavoro di Humiliation, che pare scritto da Carver... io vado controcorrente e mi inchino davanti a tanta grazia.

hiperwlt, autore, alle 14:36 del 12 settembre 2013 ha scritto:

è già un paio di settimane che gira il nuovo video, "graceless" - ancora tra gli apici di un disco che, parere personale, non smette di crescere.

hiperwlt, autore, alle 18:33 del 4 novembre 2013 ha scritto:

quell'accenno ancora maggiore di distorsione che mancava a "sea of love" nella versione in studio, ce l'hanno messo da jools holland.