R Recensione

9/10

The Sonora Pine

II

Avete in casa una copia originale di “Spiderland” degli Slint? Se la risposta è no, procuratevela adesso.

Se la risposta è sì (o meglio, ovviamente sì), allora prendetela e osservate il retro copertina. C’è una nota che mi ha sempre incuriosito. In realtà sono due: la prima dice “band photo by Will Oldham”. Ovvero: la foto di copertina, con i quattro Slint immersi nell’acqua fino al collo, la scattò l’allora ventenne WillBonnie Prince Billy - PalaceOldham. La seconda nota di copertina recita “interested female vocalists write 1864, Douglas blvd. Louisville, Ky. 40205”.

Gli Slint volevano una cantante donna.

Ho sempre pensato che quella donna dovesse essere Tara Jane O’Neil. Nessun’altra. Era a pochi chilometri di distanza (Frankfort Ave, Louisville, Ky., 40206), proprio a casa di uno dei componenti degli Slint (Brian MacMahan), intenta a realizzare, due anni dopo “Spiderland”, la seconda pietra angolare del post-rock. Quell’album si chiama “Rusty” e la band si chiamava Rodan. “Rusty” è ancora oggi un’opera di importanza seminale, l’istante esatto in cui l’aggressività post-punk (incarnata nella produzione di BobShellacWeston) si infrange contro pareti soavemente melodiche e soffici arpeggi acustici (l’incipit “Bible Silver Corner” ed il piano suonato da Jason Noble e letteralmente chiesto in prestito a Rachel Grimes dei Rachel’s).

Sciolti i Rodan nel 1994, la carriera di Tara si divide in due: da un lato c’è l’intimo divertimento folk pop chiamato Retsin, messo in piedi con l’amica di sempre Cynthia Nelson (già nei Ruby Falls), dall’altro c’è la volontà di approfondire le evoluzioni dei Rodan con il progetto The Sonora Pine. Dopo un primo album omonimo creato in collaborazione con il chitarrista Sean Meadows (membro dei June of ’44, nuova band dell’ex Rodan Jeff Mueller), i Sonora Pine pubblicano nel 1997 il loro secondo disco, chiamato semplicemente “II”.

La formazione che partecipa alla stesura di “II” è decisamente essenziale: ne fanno parte, oltre alla protagonista Tara Jane O’Neil (voce, chitarra, basso e organo), il fido batterista Kevin Coultas (già membro dei Rodan) e la violinista Samara Lubelski.

L’album è un flusso incessante di suoni marcatamente post-rock gravati dall’intensità drammatica degli interventi del violino. Le melodie si avvolgono e si contorcono per ritornare sempre al punto di partenza: quella tensione fatta di pochi strumenti e voci sussurrate che rende questo disco un’esperienza emotiva struggente.

Si parte con le progressioni post-rock di “Eek”, perfettamente bilanciata tra intrecci di chitarre dal suono cristallino e silenzi densi di tensione. Nel mezzo, persi nella nebbia, il violino di Samara e la voce tenue di Tara Jane. Il momento più raccolto e drammatico è “Cloister”, dove la voce di T.J.O. sembra spezzarsi per poi capitolare definitivamente di fronte al duetto tra il violino della Lubelski e l’organo di Todd Hildreth. Le stesse trame si rincorrono anche in “Long ago boy”, dove si fa apprezzare il bel lavoro percussivo di Kevin Coultas.

Weak kneed” è solo una piccola melodia eseguita al violino ed accompagnata da qualche accordo di chitarra. Una di quelle melodie che una volta ascoltate si nascondono in qualche anfratto della memoria per ripresentarsi, puntuali e maligne, nei momenti più malinconici della vita.

Il lato B (perché in questo album, almeno per chi scrive, ci sono comunque un lato A e un lato B) inizia con il pezzo più emozionante, nel quale la coesione tra i membri della band raggiunge vette di tristezza e dolore ineguagliabili. In “Snows cut snapshot” la voce di Tara Jane O’neill diventa protagonista, le prime frasi vengono sussurrate quasi con rassegnazione (sentitela pronunciare la parola “beautiful …”), successivamente il pezzo si evolve in una sorta di math-rock che rende evidente il legame con i Rodan, per poi spegnersi lentamente in una lunga coda liquida e dalle sonorità soffici. “Baby come home” è un breve saggio delle capacità chitarristiche della O’neill, mentre “Linda Jo” è una chiusura corale e incalzante, capace di concedere solo un piccolo spiraglio di sole pallido a questo viaggio intriso di inquietudine.

Perché questo è un disco per l’inverno.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

Ci sono 3 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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swansong alle 11:47 del 14 novembre 2008 ha scritto:

Complimenti!

Non conosco, ma i riferimenti che citi mi hanno fatto venire l'acquolina in bocca...rimedierò! Soprattutto, però, volevo farti i complimenti per la splendida recensione; hai uno stile sciolto e scorrevole che ha il merito, a mio avviso fondamentale, di incuriosire ed invogliare all'ascolto! Per quanto possa valere, bravo!

fabfabfab, autore, alle 12:21 del 14 novembre 2008 ha scritto:

Ti ringrazio davvero. Il disco probabilmente è un po' difficile da reperire. Io ci sono particolarmente affezionato, è legato ad un periodo particolare della mia vita.

Marco_Biasio alle 14:15 del 16 novembre 2008 ha scritto:

Grande Fabio, ottima recensione, molto originale. Ma davvero gli Slint cercavano una donna al microfono? Incredibile.