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R Recensione

6/10

Vanderlei

L’inesatto

L’indie-rock chitarristico degli Afterhours ha fatto scuola, da almeno un decennio. Gli alunni si sono diligentemente allineati, con la faccia di crede ancora di scardinare le regole semplicemente avendo dalla loro un impeto irruento da veri “rocchettari” e testi di ostentata non omologazione sociale, di coltivata incertezza umana o di vertiginosa veemenza poetica (da Lobi: “I tuoi seni accendono la fame primordiale... scopami la mente lascia un seme tra i miei lobi, fottimi la mente lascia un seme di luce in me...”). Per altri versi, per altri lidi anche Paolo Benvegnù ha fatto proseliti, specialmente per le metriche delle sue liriche: anche con tutta la opportuna, talvolta necessaria, propedeuticità nel seguire modelli, in attesa che dall’imitazione scaturiscano varianti innovative, il senso di ripetizione, pur in mezzo a tanta energia sgorgante, non è che regali ampi spazi di esaltazione.

Sono le regole del gioco, specialmente se questo catalizza l’attenzione dei più. Magari quello che è successo per i modelli di origine può accadere anche per chi si è messo alla sequela.

Così i Vanderlei, nati dalla metamorfosi di un’altra formazione (i Kybbutz che pure avevano iniziato a farsi un nome nei circuiti indie dell’Emilia Romagna), scelgono accuratamente le acque da cui pescare e riescono sicuramente a trovare materiali sonori ed emozionali di notevole impatto, organizzando il tutto (produce Paolo Benvegnù) con maestria e sapienza e con la consapevolezza di aver dato voce a forme musicali poco uniformi rispetto ai piatti oceani che invadono l’etere e il web in Italia. Però, però la vera originalità riescono solo a tratti a sfiorarla: Il fascino dell’attimo e ancor di più, Gioco sono questi rari interstizi di travolgente, transitoria personalità. Altrove molto latita in questo senso. Un merito è certamente quello di aver accuratamente lavorato sui suoni e sulla dinamica dell’interplay fra gli strumenti.

In realtà l’album sembra costruito per andare incontro attraverso i primi brani ad ascoltatori più distratti ma in grado di appagarsi con i panorami sonori di Manuel Agnelli & Co. (o anche i Negramaro meno pop), mentre nella seconda metà, a mio avviso maggiormente vicina alla vera natura di questi validi musicisti, i Vanderlei se la dedicano a loro. Come dovrebbe sempre essere: la musica non può essere concepita per soddisfare il pubblico, piccolo, grande, indie o no che sia. Dovrebbe dar voce ad una identità che eventualmente troverà altre personalità nella quale si riconosceranno.

Pertanto, anche se per buona parte “L’Inesatto” poco propone di nuovo sotto il sole o sotto il buio, in taluni frangenti ci si ritrova conquistati da qualcosa che probabilmente attende ancora di dare frutti. Ma se li darà avranno un gusto unico.

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