R Recensione

6/10

We Were Promised Jetpacks

These Four Walls

Ascoltando il debutto dei We Were Promised Jetpacks ci si rende conto di almeno due cose: 1) perché gli inglesi prendano per i fondelli gli scozzesi per il loro accento durissimo (i WWPJ vengono da Edimburgo) e 2) come il rock sopra il vallo di Adriano abbia sempre un retrogusto burrascoso e malinconico che lo distingue da quello propriamente inglese, spesso salvandolo dalle convenzionalità di più largo consumo. “These Four Walls”, rispettando cliché minori, guadagna un suo perché.

I pezzi sono spesso articolati sullo stesso canovaccio: concitati arpeggi di elettrica, batteria nervosa e basso secco preparano, in un clima mediamente frenetico e inquieto, solidi crescendo dal sapore quasi post rock, ma che mantengono saldo il legame con un revival wave danzereccio tutto ‘00 anche grazie agli anthem ripetuti con una certa insistenza dal leader Adam Thompson. I primi U2, i conterranei Frightened Rabbit (amici, peraltro, dei We Were Promised Jetpacks, nonché loro sponsorizzatori presso la Fat Cat), e un mix di indie rockers britannici più o meno recenti (Bloc Party, The Futureheads, i Whipping Boy a recuperare anche i ‘90), vengono assimilati in un impasto mai troppo manualistico.  

A ben vedere è la sezione ritmica il vero punto di forza della band: la sovresposizione della batteria sembra dettare la misura e la sostanza dei brani in più di un’occasione: esemplare “Short Bursts”, in cui la costante tensione mantenuta dal battito convulso dei tom crea una frenesia palpitante, spesso toccata in altri episodi (“Roll Up Your Sleeves”, che può ricordare i New Order più chitarristici di “Low Life” per la foga melodica delle chitarre).

È un’epica forsennata e disperata quella dei We Were Promised Jetpacks, legata anche al tono vocale spesso dolente di Thompson – se qualcuno conosce i danesi Saybia ce li sentirà parecchio: numerose le affinità –, con il polo della dolcezza toccato solo di rado: “Conductor” (i Bloc Party hanno imposto un loro modo di fare elegia) e “An Almighty Thud”, coda acustica un po’ incongrua, sono, assieme al finale di “Roll Up Your Sleeves”, le uniche concessioni in tale direzione.

I pezzi più riusciti sono altri, e sono quelli che evitano lungaggini strumentali vagamente ambiziose che qua e là fanno scadere la qualità del lavoro: “It’s Thunder and It’s Lightning” e “Quiet Little Voices” partono pressoché dallo stesso arpeggio per climax emotivi avvolgenti che incidono, mentre “Ships With Holes Will Sink” propone un buon groove da club rock – che è poi quanto da questi ragazzi di Scozia è bene chiedere. Tanto che forse, dopo qualche ascolto, ci si può rendere conto anche di una terza cosa: che “These Four Walls” è un buon disco.

V Voti

Voto degli utenti: 6,3/10 in media su 4 voti.
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REBBY 5/10

C Commenti

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Mell Of A Hess (ha votato 8 questo disco) alle 15:59 del 17 luglio 2009 ha scritto:

Concordo con te Francesco, lo ritengo proprio un buon disco, fila via liscio,sarà proprio per la parentela orderiana delle chitarre,per l'accento scozzese (ebbene sì, a me piace molto!) o per la "frenesia palpitante", fatto sta che lo (ri)ascolto spesso!

Personalmente son stata subito conquistata dal battito di "Ships with holes will sink" e "Quiet little voices" e non mi dispiacciono nemmeno i passaggi più intimisti di "This is my house, this is my home", valore aggiunto senz'altro la voce di Thompson.

La stampa anglosassone mi pare li abbia un po' stroncati, peccato, io questo disco l'ho messo nel settore "da tenere d'occhio", non so quanto reggeranno sulla lunga distanza, ma qualcosa/qualcuno ci insegna che "life is now"(ahhahaha).

Voto 7.5

sarah alle 1:53 del 18 luglio 2009 ha scritto:

molto interessante questa proposta, dovro' procurarmelo.

REBBY (ha votato 5 questo disco) alle 16:15 del 28 agosto 2009 ha scritto:

"i pezzi più riusciti sono ... quelli che evitano lungaggini strumentali ..."

Concordo con Francesco ed aggiungo che il cantato

per me è punto debole della band (perdonami Mell

eheh). A me piace Ships with holes will sink.

Suicida (ha votato 5 questo disco) alle 19:46 del 13 maggio 2012 ha scritto:

Hype spropositato per una delle solite band pseudo-indie che escono fuori come i funghi peggio dei cantanti neomelodici. Si salva solo "Ships.. " nel mare di meodicrità del disco, grazie al fatto che il cantante cerca di imitare disperatamente Geoff Farina.

target, autore, alle 10:20 del 14 maggio 2012 ha scritto:

Me li ero quasi scordati i We Were Promised Jetpacks. Ascoltato l'ultimo disco uscito l'anno scorso: piaciuto zero. La definizione "hype spropositato" applicata a loro fa piuttosto ridere. Me la rigioco al bar.