R Recensione

7/10

Yo La Tengo

Popular Songs

Sugli Yo La Tengo potremmo dilungarci una decina di pagine a ripercorrere l’incredibile carriera arrivata ormai al quinto lustro di attività. Invece ci limiteremo ad una ovvietà: così come i Flaming Lips anche la band americana mantiene una freschezza invidiabile e nell’ampia discografia diventa difficile trovare cadute davvero significative. Molto pià facile cantarne le lodi, ma di questo, l’abbiamo già detto, preferiamo astenerci in questa sede.

Parliamo piuttosto di Popular songs, fin dal titolo un programma. In fondo ne hanno sempre fatta di musica popolare che piacesse alla gente, a tutta la gente, anche a quello che se gli parli di indie pensa che sia una nuova marca di noccioline. La cosa eccellente è che gli Yo La Tengo sono sempre riusciti a farlo con classe, garbo ed ecletticità, contribuendo talvolta perfino ad una moderata innovazione e perfezione dei generi più disparati.

Per questi motivi gli Yo La Tengo sono una delle band più rappresentative dell’indie nel suo complesso, perfetti per descriverne le varie sfumature musicali, l’attitudine di partenza (gioiosa, giovanile e tendenzialmente non intellettualistica né tantomeno snob), la composizione familiare e l’esito commerciale discretamente elitario.

Ecco, ci sono caduto, alla fine l’introduzione agiografica gliel’ho fatta. Popular songs è la conferma di un gruppo che sa muoversi con raffinatezza ed intelligenza mantenendo un approccio genuino ed energico. Vi troviamo Here to fall, chamber-pop dalle venature sinfoniche (Phil Spector incontra Divine Comedy con aria sbarazzina in un bar dove risuona un synth circolare), motivetti pop alla Costello-Bacharach (un po’ annacquati a dir la verità) come All your secrets e If it’s true, ma anche ammalianti viaggi in atmosfere più dreamy, ora in stile Mazzy Star (Avalon or someone very similar) ora in versione ‘60s bazzicanti tra Byrds e Beatles (When it’s dark), ora a tinte psichedeliche rarefatte (l’elegante loop di By two’s). In mezzo la scossa surfara e power-punk di Nothing to hide, le talentuose arie cantautorial-pop un po’ memori di Nick Drake di I’m on my way e il rythm’n’blues estroso (un po’ jazzato un po’ arty) di Periodically triple or double.

Fino a qui niente di eccezionale insomma, tanto mestiere, tanta bravura ed una capacità non indifferente di scrivere canzoni pop nelle più varie forme. Il salto di qualità, quello che fa alzare verso l’alto con convinzione il pollice è la triade di brani finali, della durata complessiva di trentasette minuti. Praticamente un disco a sé, uno splendido e devastante lato B che esula completamente dal cosiddetto lato A.

Si parte con More stars than there are in heaven, oltre nove minuti a tinte psycho-guitar. Dream pop etereo e spaziale che muovendosi tra scanalature e striature magnetiche crea un clima intenso e quasi epico. È praticamente il miglior ricordo possibile della tradizione indie di fine 80s-inizio 90s: tra Loop, Seam, Stereolab, Galaxie 500 e Low. Poi c’è The Fireside, oltre undici minuti di folk acustico alla John Fahey con un retrogusto di desertico. Brano d’atmosfera, dalla consistenza liquida e sfuggente, in bilico tra classificazioni ambient-folk e slow-core. Le chitarre che si muovono tra linee sinuose ed eleganti a ricreare andature tipiche dei Red House Painters.

Per chiudere in bellezza ecco And the glitter is gone, che in pompa magna supera i quindici minuti. L’indie-rock si incontra con la psichedelia alternative (Motorpsycho) e in particolare con il noise dei Sonic Youth. La base sonora si fa aspra e robusta ma l’andatura resta riflessiva e priva di scossoni, tutta dedita ad esplorare le potenzialità dell’estetica low-fi. Si gioca quindi sulla ripetitività sonica, su un blocco apparentemente granitico da cui muovono piccole variazioni di chitarra, siano esse noise o melodiche. Una chiusura totalmente anomale insomma, visto il retroterra musicale complessivo di Popular songs, più prossimo nel suo complesso all’esplorazione del campo pop. Eppure proprio questa incongruità diventa un valore aggiunto al disco, dandogli un senso di rottura stilistico e musicale notevole. Come a dire “ehi guardate che noi restiamo rockettari nell’anima, e ora ve lo mostriamo!”. Altrochè se ce l’hanno mostrato, altrochè.

Sito - http://www.yolatengo.com/

Myspace - http://www.myspace.com/yolatengo

Video:

When it's dark - http://www.youtube.com/watch?v=sN1renD54oc

Nothing to hide - http://www.youtube.com/watch?v=17zFF3Wu2A8

Avalon or someone very simila - http://www.youtube.com/watch?v=mNhW7pqCJY8

More stars than there are in heaven - http://www.youtube.com/watch?v=9XPYIJdVOhw

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 5 voti.
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REBBY 7/10

C Commenti

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REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 9:56 del 3 novembre 2009 ha scritto:

Si un disco "bifronte", come ben spiega Peasy, che

insegue la varietà anche all'interno dei 2 blocchi

principali. Questa varietà unita ad una scrittura,

a mio giudizio, mediamente più che buona lo rende un album perfetto per iniziare la conoscenza di questa band che, dopo 25 anni di carriera iniziata

subito col "botto", è sempre in grado di sfornare

album comunque interessanti. Stasera lo riascolto

di sicuro e so già che non me ne pentirò. Resta solo da vedere quale brano catturerà stavolta di

più la mia attenzione.

otherdaysothereyes (ha votato 7 questo disco) alle 20:50 del 9 novembre 2009 ha scritto:

Sì ennesimo disco di grande qualità (ma hanno mai fatto un disco di bassa qualità?), non vedo l'ora di andarli a vedere qui a Firenze a fine novembre...

bill_carson (ha votato 8 questo disco) alle 11:13 del 12 gennaio 2010 ha scritto:

Grande disco

Bel compromesso tra spocchia e accessibilità.

Fantastici.

Emiliano alle 19:23 del 14 dicembre 2010 ha scritto:

Lo sto ascoltando ora. Davvero bello, fra quelli dell'anno scorso che riascolto più volentieri.