R Recensione

7/10

Sambomaster

Sambomaster Wa Kimi Ni Katari Kakeru

Si sono conosciuti nel club musicale dell’università che frequentavano Yamaguchi Takashi chitarrista e cantante e Yasufumi Kiuchi il batterista. Mancava solo Kondo Yoichi, bassista, che di lì a poco sarebbe entrato formando il gruppo nel 2000 che noi conosciamo come Sambomaster. Il loro debutto ufficiale è avvenuto nella live house del distretto di Koenji a Tokyo e ben presto, nell’aprile 2001, uscì il loro primo disco autoprodottoKick no Oni (Il Demone dei calci), dal quale il loro primo singolo omonimo, composto da 7 canzoni e edito in sole 300 copie.

Grazie a due eventi in particolare i Sambomaster hanno aumentato la loro fama in tutto il Sol Levante. Il 3 dicembre 2003 esceAtarashiki Nihongo Rock no Michi to Hikaru(“La strada e la luce del nuovo rock giapponese” ), l’album che li ha visti firmare con la major Sony Music Japan, e nello stesso anno sono stati partecipi dal vivo al Rookie GO GO del Fuji Rock festival .

Abbattute e/o sorvolate le barriere linguistiche sicuramente i Sambomaster sono di piacevole ascolto. Il loro è un rock che accarezza la melodia pop ed un’attitudine punk rock, dettata soprattutto dalla voce a volte melodica a volte gridata del bravo cantante e chitarrista Yamaguchi Takashi, ha prodotto canzoni che in Giappone sono divenute piccole hit, soprattutto dopo aver partecipato alla sigla del famoso anime Naruto con Seishun Kyosoukyoku (disponibile anche in video).

Sambomaster wa kimi ni katari kakeru ,uscito nel 2005 (“Sambomaster devono dirti qualcosa”) composto da 12 tracks, inizia con Utagoe yoo kore una delle migliori dell’intero album, seguita da Seishun kyosoukyoku, priva di urla e più pop. Nonostante, nella loro complessità, i pezzi conservino una certa omogeneità di stile, non mancano i picchi: prima fra tutte Utsukushiki ningen no hibi, e Yokubou ROCK, o una Omoide wa yogisha ni notte e Shuumatsu soul dal trascinante tiro rhythm and blues/soul.

I Sambomaster, si discostano notevolmente dai più noti gruppi Visual Kei ( genere musicale giapponese nato a cavallo tra gli anni ‘70 e ’80, al culmine negli anni ’90, che dava particolare attenzione all’aspetto visivo dei membri delle band e alle scenografie e musicalmente ibrida di metal ed hard rock), e riescono a trasmettere emozioni in grado di smantellare le differenze linguistiche. Un gruppo dall’aspetto e dal suono fresco, sincero e di talento… davvero una bella sorpresa.

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Ivor the engine driver alle 10:45 del 3 agosto 2007 ha scritto:

oh qualcuno che non recensisce visual kei

Come da titolo sono contento solo del fatto che puntualizzi come il visual kei sia di fatto nato molto fa e scoppiato nei '90. Il problema è che da noi riviste di settore lo pubblicizzano come una tendenza che tuttora spopola, e non c'è niente di + distorto. Visto che mi sembra mastichi il giappo, magari sei vissuta là come me e se ti interessi di musica ti rendi conto che la scena visual kei non è nè + ne - uguale alle altre di Tokyo. Tutte pose. Beh Koenji è un bel posto, andavo spesso all'Ufo Club a vedermi roba psichedelica tipo Makoto degli Acid Mothers Temple.

Loro sinceramente mai sentiti.

Kira, autore, alle 19:48 del 3 agosto 2007 ha scritto:

ciao

Purtroppo non sono ancora mai stata in Giappone e spero di andarci qualche tempo l'anno prossimo. Concordo con il discorso sul visual kei, è costruito come tantissime altre cose made in japan. Mi annoto i nomi che mi hai fatto, potrebbero sempre tornarmi utili ;D

Marco_Biasio alle 21:55 del 25 agosto 2007 ha scritto:

Gran bella recensione, Ilaria/Kira . Questi Sambomaster non li conosco affatto. Ma la scena Japanese, Polysics in testa, mi intriga