Editors
In This Light And On This Evening
Forse anche in seguito ad alcune critiche ricevute dopo il secondo disco, “An End Has A Start” (2007), accusato da più parti di essere troppo schiacciato sullo stile di “The Back Room” (2005), gli Editors, al terzo lavoro, hanno deciso di voltare pagina e cambiare maniera. Non sono, per la verità, i primi a farlo all’interno del plotone revival wave britannico: i Bloc Party, l’anno scorso, con “Intimacy”, avevano già fatto intuire come potesse essere l’elettronica a modificare i connotati di una formula indie rock pericolosamente inceppata. Mentre però la band di Okereke aveva esplorato territori di sperimentazione electro molto attuali, vicini a certe soluzioni nu-rave (Klaxons) o più esplicitamente da pista (Chemical Brothers), gli Editors hanno intrapreso una strada più passatista: “In This Light And On This Evening” è a tutti gli effetti un disco synth-pop, zeppo di richiami eighties e di sonorità vintage applicate a una scrittura non diversa da quella del passato.
La svolta, a disco ascoltato, lascia molte perplessità, non tanto perché legata a una ripresa ’80 ormai più modaiola che sentita. Il problema è che risulta difficile reinventarsi e sapersi riadattare alle regole di un nuovo paradigma musicale (in tempi, poi, così rapidi) se non si è una band di caratura superiore. E gli Editors, rispettabilissimi e capaci di scrivere in passato buoni pezzi, non lo sono. In questo disco manca totalmente la ricerca che si pretenderebbe da chi affronta per la prima volta, pur in ambito pop, soluzioni musicali inedite per la propria carriera, mentre si ha spesso la sensazione di essere di fronte a un compitino ben svolto: le singole canzoni, ispessite da un massiccio ricorso ai synth e quasi del tutto prosciugate dalle trame chitarristiche, sono costruite su un’idea di partenza da cui non si staccano più, per risultati che all’orecchio appaiono spesso noiosi e troppo statici.
Agli Editors mancano fantasia ed estro nell’accostarsi ai sintetizzatori, sicché i nove brani si muovono visibilmente ingessati. In genere, per dribblare il rischio della ripetitività, la band punta su pomposi crescendo, ma l’escamotage appesantisce ulteriormente i pezzi e li espone al fardello di minutaggi troppo corposi. “Bricks And Mortar”, così, supera i sei minuti, ma è interamente dettata da un inalterato motivo di synth (ancor più immoto il basso) su cui non fa presa qualche chitarra dissonante; il singolo “Papillon” è sfiancato da un pedestre fraseggio elettronico, che sparisce solo nei ritornelli, per questo sopportabili, mentre Tom Smith offre un’interpretazione vocale a dir poco sopra le righe. Non vanno meglio “You Don’t Know Love”, boccheggiante sin da metà, tra cori plasticosi e l’ennesimo refrain di synth iper-iterato, e “The Big Exit”, il cui attacco promettente, con stilettate noise e basso liquido, si infiacchisce nel tema neoromantico (con falsetto) dei ritornelli.
Spesso si ha l’impressione che quanto segue il primo minuto e mezzo non sia necessario. “Eat Raw Meat = Blood Drool” è, credo, l’episodio peggiore della discografia della band, tra abrasioni e scorticature elettroniche senza costrutto e lunghi vuoti (tra i 2’03’’ e i 3’31’’ c’è un buco nero) che fanno diventare lusinghiero il termine canzone. Del synth-pop gli Editors non prendono che le scorie più mosce (una “Empire State Human” degli Human League, per dire, rimane puro miraggio): Ultravox, Depeche Mode, Simple Minds più ferrigni tra ’70 e ’80, sono suggestioni udibili solo in controluce o in qualche momento più maturo, come nella costruzione dark della title-track, con schegge del Bowie berlinese a conficcarsi nell’esplosione ruvida del finale. Stupenda, invece, “The Boxer”, che parte da dove gli Editors più notturni ed eterei erano partiti (“Camera”) per insinuarsi, tra tom legnosi e una chitarra tremula che fa vibrare il consueto ricamo di tastiere, in deliziose campate dark-wave. Peccato che una commistione così intelligente tra il ‘vecchio’ e il ‘nuovo’ stile duri lo spazio di una canzone.
Resta da sperare che “In This Light And On This Evening” aiuti gli Editors a trovare la giusta misura del loro nuovo corso. Questo disco, intanto, somiglia più a un vicolo cieco.
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