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R Recensione

7/10

Five O'Clock Heroes

Bend to the Breaks

Gli eroi delle cinque in punto (se del pomeriggio per troppo tè o del mattino per troppo alcol non è dato sapere) sono l’ennesima band che ripesca sonorità rock tra anni settanta e ottanta, tra new wave e punk, con una predilezione, qui, per le pieghe che si nascondono tra Clash e Jam (dai quali deriva il nome della band). Di base newyorkese, ma con mezza formazione inglese a dare un pizzico di eclettismo musical-culturale, non hanno di certo il pregio di suonare originali, mentre possiedono quello, non secondario, di essere divertenti.

Gli ingredienti del disco sono quelli consueti: giri di chitarra (solo elettrica) elementari, basso e batteria che fanno il loro compitino, una voce spigliata ed euforica, spesso rafforzata da cori nei ritornelli, strutture dei pezzi regolari, ritmo sempre piacevolmente sostenuto, suoni omogenei. Solo, delle volte sembra di passare attraverso zone limitrofe a certi Madness (ma senza fiati), come quando attacca il ritmo ska-punk di “Anybody Home”. Per il resto, dominano chitarre spedite e melodie sempre molto catchy, come nel brillante pezzo d’apertura (“Head Games”) o in “Time On My Hands”, vicina a certi Weezer che occhieggiano agli anni Sessanta, a certe atmosfere patinate, tra Lambrette colorate e i rossi cementi metropolitani di Piazza Statuto.

Difficile dire quali brani spicchino sugli altri: un po’ perché il concetto non cambia quasi mai (che non vuol dire che le canzoni si somigliano tutte, ma quasi), un po’ perché mancano i classici brani riempitivi. Nella carrellata di singoli potenziali spiccano “Run To Her”, veloce e intrigante, “Skin Deep”, che trova il punto di forza nel cantato un po’ geometrico e furbo che Ellis costruisce attorno a una serie di accordi elementare,“Stay The Night”, dalle movenze più (ironicamente) noir, “White Girls”, in cui è impossibile non battere il piede e far oscillare la testa. “Corporate Boys” si potrebbe canticchiare in macchina mentre si va al mare, prendendo in giro i ragazzi integrati che si stanno prendendo sul serio da qualche parte in città. Il tutto è chiuso da un’amena “Got To Give Up”, nonché da una traccia fantasma che è l’unico momento di stacco nel disco: a dimostrare che gli eroi sanno rallentare, che possiedono (e suonano) almeno una chitarra acustica, che Ellis può sfoggiare una voce pastosa quantomeno buffa e che i suoi compagni si possono prestare a coretti quasi cabarettistici (non male: perché solo la ghost track in questo stile?).

L’impressione è che con una cura più zelante, con l’aggiunta di qualche strumento qua e là e di qualche decorazione a riempire e a variare, il disco sarebbe riuscito non solo divertente, ma pure interessante. Corre invece il rischio di scivolare presto, con le sue dodici canzoni così simili e leggerine, che sanno di estati un po’ grigie, di t-shirt passate di moda e di cedrata; che possono ricordare la propria cameretta negli anni ottanta, qualche tardo pomeriggio agostano a calciare un pallone per strada con gli amici, qualche bar che fa ancora la granatina al tamarindo. Ma pazienza. Una levità allegra, scanzonata e un po’ mascalzona, con un pizzico di sorrisa nostalgia: non solo c’è di peggio, anzi, delle volte è proprio ciò che ci vuole.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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Marco_Biasio (ha votato 7 questo disco) alle 20:53 del 9 aprile 2007 ha scritto:

!

Sei un grande. Ma proprio un grande. Ah, l'ho già detto che sei un grande? Scusa, dimenticavo di dirti che sei un grande. (P.S. Ben ritornato)

Marco_Biasio (ha votato 7 questo disco) alle 18:44 del 10 aprile 2007 ha scritto:

Sorry

Scusa, voto al disco.