Love Of Diagrams
Mosaic
Nonostante lorigine australiana si capisce subito che i Love of Diagrams, trio di belle speranze con alle spalle una manciata di ep e un esordio (The Target is You) datato 2003, hanno unanima musicale ben diversa da quella che ci aspetterebbe. Bisogna infatti navigare verso laltro capo del mondo per trovare le loro influenze musicali: Uk e New York principalmente, ma non solo.
E bisogna anche tornare un po indietro nel tempo, giusto giusto di quei 20-30 anni per arrivare, ebbene sì, lavrete ormai capito, a quellenorme calderone che prende il nome di new wave. Per essere ancora più precisi post punk.
Si tratta allora del classico gruppetto che va a ripescare a piene mani da quel periodo aureo rielaborandolo in chiave indie-new rock? In parte sì, perché un ascoltatore giovane ignaro dellesistenza di mostri sacri come Pil, Wire e Mission of Burma potrebbe in realtà trovare i Love of Diagrams un ottimo incrocio tra Bloc Party, Interpol e Organ. Niente di nuovo sotto il sole, insomma, ma anche stavolta la rielaborazione è più che soddisfacente e i quaranta minuti complessivi dellalbum diventano allora un ascolto molto più che semplicemente gradevole. Non siamo di fronte allennesimo gruppetto di provincia con il The davanti che tanto vanno di moda da qualche anno a questa parte.
Melodie tortuose dietro cui si celano assoli e riff aspri e sanguigni nascondono una cultura raffinata determinata dal preciso intento di ricreare le atmosfere un po funamboliche, un po frizzanti, un po anarchiche di quegli anni. Cè però anche un lato inquietante nellalbum, unatmosfera quasi di isteria, di schizofrenia, resa bene in pezzi come Confrontation o Pace Or The Patience.
Non per niente tra la influenze extra-musicali espresse dal gruppo ci sono anche i film di Polanski (la progressione verso la pazzia della protagonista di Repulsion) e di Lynch, oltre alla letteratura dellassurdo di Ionesco.
Trasposte in musica queste caratteristiche si ripercuotono nella figura delloscura Antonia Sellbach che affascina con metallici giri di basso (spesso dominanti la scena come in All The Time e What Was I Supposed To Do) e con un cantato punk che ricorda molto Karen O delle Yeah Yeah Yeahs e la camaleontica PJ Harvey. Ma soprattutto, inevitabile, affiora il confronto con la dark lady Siouxsie Sioux.
Senza dimenticare le chitarre distorte tipicamente post punk di Luke Horton (At 100% testimonia un buon carisma e una discreta tecnica) e la batteria funzionale di Monika Fikerle, a dominare costantemente la scena è lei: Antonia Sellbach.
Speriamo solamente che, questa volta, non si riveli il solito fuoco di paglia.
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