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R Recensione

8/10

Moscow Olympics

Cut The World

Ultimamente si corre spesso il rischio di incensare gruppi che hanno il solo merito di riproporre gli stessi suoni e le stesse ricette melodiche di nostri idoli di vent’anni fa ormai scomparsi, ricoverati in cliniche in mezzo ai boschi, o intenti a uscire da più lustri con album stanchi e insulsi, tanto da costringerci a ripescare i loro vecchi lavori per poter riassaporare certe atmosfere e sonorità. Sicché, se arriva qualche giovinastro che cavalca bene l’onda del revival, diventa subito un eroe.

Il problema, per molti di questi giovinastri, è che la loro originalità langue, lasciandoli ben presto sparire sotto il vortice della stessa onda che avevano cavalcato. Mi piace pensare, e ho modo di credere, che i Moscow Olympics supereranno alla grande lo scoglio del citazionismo, perché nel loro miscuglio di new wave e shoegazing ci sono una personalità e un’impronta degne di attenzione.

Questo mini-album di esordio, dopo l’ottima accoglienza di alcuni singoli (tra cui l’eccellente “Still”), è una gustosissima cavalcata di brani che vanno a toccare i New Order di “Power, Corruption & Lies”, gli Slowdive di “Souvlaki”, i Galaxie 500 e un’infinita serie di altri rimandi tra Ottanta e Novanta che l’ondata nu-gaze (o, meglio, nu-shoes, visto che lo sguardo verso il basso è lo stesso, mentre sono cambiate le scarpe) sta riportando in auge di questi tempi (sentire per credere gli svedesi Afraid Of Stairs, con molti contatti, tra cui l’etichetta, con i Moscow Olympics).

Tappeti di tastiere dream pop, chitarre riverberate che intrecciano ghirlande di facili riff, voce che ricama melodie orecchiabili sovrastata dalla musica, una batteria incalzante e un basso che detta fraseggi melodici in primo piano. I modelli sono esposti: lo stile di Peter Hook, per dirne una, è richiamato in modo smaccato dal bassista dei Moscow, che indugia spesso sulle note alte creando veri e propri mini-leitmotiv strumentali che spariscono e riemergono in continuazione. 

Impossibile, davvero, non pensare ai New Order: “No Winter, No Autumn” inizia esattamente come “The Age Of Consent”, solo su ritmi più bassi. “Carolyn” è uno stupenda ballata new wave che si pone a metà tra “Your Silent Face” e “Catholic Easter Colours” dei Northern Picture Library, altro punto di riferimento dichiarato dei Moscow Olympics.

Sorprendono, di questi sette brani, la produzione impeccabile, lo stile già compiuto e compatto, la capacità di non annoiare, grazie alle continue variazioni e alla misura dei diversi segmenti strumentali, mai eccessiva e sempre ben calibrata. La voce, a tratti, ricorda molto da vicino (come nella finale “Cut The World”) quella nasale e affilata di Neil Tennant (Pet Shop Boys), anche per la capacità di risultare pop nonostante tutto: formidabile, ad esempio, la melodia che estrae dal cappello nella deliziosa “Safe”. L’effetto finale è un sound solare e turbinoso (“Ocean Sign”) che nell’aggrovigliarsi di melodie su fondale sfocato trova continui momenti di godimento.

Da incensare, dunque, i Moscow Olympics. Che non sono russi, eh: sarebbe troppo banale. Vengono dalle Filippine: aria nuova.

V Voti

Voto degli utenti: 6,9/10 in media su 7 voti.
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Cas 7/10
rubens 7/10
REBBY 4/10

C Commenti

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Alessandro Pascale (ha votato 8 questo disco) alle 14:35 del 7 luglio 2008 ha scritto:

marò dalle filippine vengono? )) e cmq dopo aver visto i rimandi sono rimasto estremamente incuriosito e ho provveduto a procurarmi questo disco che in effetti è davvero una gran bella sorpresa. Hai azzeccato ottimamente tutte le influenze, dallo shoegaze al dream pop dei galaxie fino (soprattutto) alle trame pop-wave dei new order. Una cosa: ti prego non andare a spargerla in giro sta nuova definizione che è "nu-gaze". Non è perchè è sbagliato in sè l'individuazione di un revival shoegaze che ultimamente si ritrova sia in una serie di album scintillanti (serena maneesh, airiel) sia nelle produzioni di un pò tutti (addirittura nei coldplay!). Più che altro perchè sono stufo di questi new qui e new là ))

target, autore, alle 11:37 del 9 luglio 2008 ha scritto:

Chiameremo allora "neo-etichettismo" la volontà di non etichettare, o, al più, di etichettare senza "new" le giovani band che si affacciano nel mondo della musssica! Aderisco. Una menzione, tra parentesi, per il delizioso Andreas dell'etichetta Lavender, che in cambio di dieci euri sgualciti (ma veri) inviati in modo irresponsabile via posta in una qualche località della Svezia continentale mi ha inviato tre dischi uno più bello dell'altro.

fabfabfab (ha votato 7 questo disco) alle 18:52 del 18 luglio 2008 ha scritto:

Io ci sento taaaante chitarre wave, la Sarah Records e un suono Cure ("Safe"). Bel dischetto, però.

Cas (ha votato 7 questo disco) alle 10:57 del 5 agosto 2008 ha scritto:

si si bel dischetto davvero! scorrevole, compatto, abbastanza vario e più che mai capace di ripresentarci il meglio di certi anni '80...ora l'unica prova che deve superare è il tempo.

REBBY (ha votato 4 questo disco) alle 10:21 del 3 settembre 2008 ha scritto:

Forse le mie aspettative erano troppo alte

(d'altra parte nella top ten 2007 di Target son

presenti 6 dei miei album preferiti dell'anno scorso e anche gli altri non sono poi così male),

ma dopo ripetuti ascolti la mia opinione é che,

pur muovendosi in ambiti sonori da me aprezzati,

l'album é molto ripetitivo (non riesco quasi a distinguere un brano dall'altro) e con un

cantato monocorde e privo di personalità. Se

fosse stato fatto da un gruppo inglese (o anche

italiano) forse non avrebbe ricevuto così tanti

consensi.