R Recensione

6/10

Little Barrie

Stand Your Ground

Fanno quasi tenerezza, questi Little Barrie: sarà la vocina un po’ efebica di Barrie Cadogan, che per quanto si sforzi di raschiare e grattare non smette mai di essere tale, ma l’impressione ricorrente che affiora ascoltando questo disco è di ascoltare gli Hanson alle prese con il blues rock. We Are Little Barrie, disco d’esordio del gruppo, datato 2005, riusciva ad alzare un po’ di polvere con pezzi discreti e tiro invidiabile, ma in questo Stand Your Ground, per quanto ce la mettano tutta, l’impressione è di avere a che fare con una specie di baby band del new rock.

Eppure ci danno dentro, a macinare giri e riff rhythm’n’blues, saliscendi ritmici, non difettano di groove e di una loro classe, hanno studiato a memoria tutti i capisaldi del blues rock dei ‘60s: Hendrix, Cream, Traffic, Yardbirds e tutto l’ambaradan, e non fanno mai un passo falso. Si concedono con abilità al dondolare dello swing (Preyy Pictures) e alle grazie del funk (Just Wanna Play), maneggiano il blues (Why Don’t You Don’It), sanno cos’è uno slow (Yeah We Know) e come funziona il rhyhtm’n’blues (Love You).

Insomma, perché tutta una recensione di “se” e di “ma” se ogni cosa è al posto giusto? Perché arrivato in fondo è filato tutto così liscio che ti sei scordato com’era cominciato, il disco. Anzi, a pensarci bene ti sei anche scordato, dopo pochi secondi, come diavolo è finito. Ma sarà l’arteria, signori, sarà la memoria che non è più quella di un tempo. E quell’odore di plastica che senti serpeggiare per la stanza proverrà sicuramente dalle pieghe del booklet, non dalla musica del gruppo.

Lasciamogli il beneficio del dubbio, al musicalmente dotato Cadogan, chissà che alla prossima uscita, magari con un po’ di sudore in più e qualche leziosità in meno, non sappia convincerci del tutto. Saremo tutti in fila a fare il tifo per lui, ai giardinetti. Pardon, sotto il palco.

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